domenica 25 marzo 2012

Un libro di Jacques Sapir

Jacques Sapir, Faut-il sortir de l'euro?, Seuil, 2012.

Iniziamo con questo post a pubblicare recensioni di libri. Parleremo ovviamente di libri collegati ai temi in discussione nel blog. Non ci occuperemo solo di novità, ma anche di testi usciti da qualche tempo, se ci sembrerà di trovare in essi qualcosa di rilevante per le nostre discussioni.
Oggi parliamo di un interessante libro di Jacques Sapir, economista francese (si può vedere la sua pagina sul sito dell'EHESS).

Il testo prende in esame la situazione attuale della zona euro e i suoi problemi, discutendo le varie opzioni possibili per far uscire la moneta unica dai problemi attuali. L'analisi svolta dall'autore sulla crisi dell'euro è in forte consonanza con quanto va dicendo in Italia, da vari mesi, Alberto Bagnai (si veda il suo blog Goofynomics, che qui abbiamo già raccomandato): mettendo assieme economie molto diverse fra loro, “lungi dal produrre una qualsiasi convergenza, la zona euro ha generato una massiccia divergenza delle economie e della struttura dei loro apparati produttivi” (pag.18: la traduzione, qui e nel seguito, è mia responsabilità). Chi ne ha beneficiato è stata soprattutto la Germania, che ha ottenuto piena libertà di accesso per le proprie merci ai paesi vicini, mentre i bassi tassi di interesse di cui ha goduto l'eurozona fino all'attuale crisi hanno permesso a tali paesi di indebitarsi per acquistare le merci tedesche (pag.33). La Germania ha realizzato politiche del lavoro che hanno tenuto relativamente bassa la propria inflazione, guadagnando in competitività rispetto ai paesi vicini, che hanno quindi cominciato a registrare forti deficit commerciali con la Germania. In presenze di monete nazionali, questo avrebbe portato all'apprezzamento del marco rispetto alle altre monete, ristabilendo l'equilibrio. Ma la creazione dell'euro ha escluso questa possibilità. In questo modo la Germania ha potuto approfittare della crescita della domanda interna dei paesi della zona euro, crescita che è stata in media più alta di quella tedesca (particolarmente interessanti a questo proposito i dati riportati a pag.63). Sapir nota a questo proposito che “sono dunque le altre economie (...) che hanno “tirato” la crescita della zona euro (e, incidentalmente, della Germania), ma al prezzo di un importante deficit commerciale con la Germania” (pag.63) (in Italia è stato De Nardis a notare che “la locomotiva tedesca va nella direzione sbagliata”). La conclusione di Sapir è netta, e val la pena di riportarla: “la crisi attuale non proviene dunque solamente da politiche economiche nazionali inefficaci (come per l'Italia) o pericolose (è il caso della Spagna e, in certa misura, del Portogallo), o ancora da politiche lassiste sul piano fiscale (come in Grecia): essa è prima di tutto il prodotto della politica tedesca all'interno dell'eurozona. La Germania ha squilibrato l'eurozona con la sua politica di depressione della domanda interna. D'altronde, si vedono i deficit commerciali degli altri paesi (Francia, Italia, Spagna) esplodere a partire dal momento (2002) in cui la Germania mette in opera la sua politica. Questo aggravamento improvviso delle condizioni commerciali all'interno dell'eurozona ha causato o un indebitamento privato (di famiglie e imprese) molto forte, o un innalzamento dell'indebitamento pubblico” (pag.64).

Sapir prosegue esaminando le possibili soluzioni alla crisi. Se si vuole mantenere l'euro, esse non sono molte: la principale sarebbe che l'Unione Europea diventasse un vero Stato unitario con un budget significativo e con forti trasferimenti finanziari dai paesi forti a quelli deboli. In sostanza, la Germania (e gli altri paesi forti del nord) dovrebbero pagare i paesi del sud perché questi ultimi possano continuare ad acquistare le merci dei primi. Si tratta di una soluzione tecnicamente possibile ma politicamente improponibile. Basti pensare a quanto siano impopolari nei paesi del nord i prestiti concessi ai paesi PIGS in difficoltà (impropriamente chiamati “aiuti”). Un'altra misura possibile, secondo Sapir, potrebbe essere la monetizzazione dei debiti pubblici, cioè l'acquisto diretto dei titoli del debito pubblico dei vari paesi europei da parte della BCE. Questo comporterebbe una probabile svalutazione dell'euro, cosa che Sapir non considera negativa, ma non rappresenterebbe una soluzione dei problemi strutturali dell'eurozona. Consentirebbe però di guadagnare tempo per affrontare tali problemi, e di indirizzarsi verso la soluzione che Sapir sembra prediligere, cioè quella di un superamento della moneta unica a favore di un moneta comune, che non si sostituisca alle monete nazionali ma funzioni come quadro di coordinamento, con cambi fissati per periodi definiti ma rivedibili.

Tutto sembra però indicare che queste soluzioni alternative siano fuori da ogni possibilità di realizzazione politica, e che l'eurozona e la UE siano ormai definitivamente avviate verso una politica di austerità che avrà conseguenze distruttive per i popoli europei, e probabilmente porterà alla dissoluzione della moneta unica.

Le conclusioni di Sapir a questo proposito non sono rassicuranti: “si capisce ormai come l'eurozona, nel suo stato attuale, sia diventata, sul piano sociale, una vera macchina da guerra per imporre sempre più sacrifici e regressione. Qui giacciono per l'eternità tutti i sogni di socialisti e socialdemocratici di diversi paesi sull'Europa sociale. “(pag.121-122).

Le conseguenze più chiare del proprio complessivo argomentare Sapir le ha tirate in un appello pubblicato su Le Monde il 23 dicembre 2011, nel quale, assieme ad altri economisti, proponeva un piano concreto per lo smantellamento dell'euro.

In conclusione, un testo interessante e ben scritto, che mostra come in Francia il dibattito su questi temi sia molto più avanzato che in Italia.

(Marino Badiale)




3 commenti:

  1. Bello, chiaro, condivisibile; condiviso. Grazie.

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  2. Si usa PIGS ma molte volte leggo PIIGS ovvero penso si includa anche l'Italia. La dobbiamo tenere fuori dal discorso?

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  3. Secondo me occorre aggiungere che per superare le differenze strutturali i paesi UE dovrebbero dotarsi anche di un mercato unico del lavoro. Che poi è una delle condizioni principali previste dal modello di Mundell-Fleming sulle aree valutarie, evidenziata di recente anche dai prof. Bagnai e Cesaratto.

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