sabato 15 giugno 2013

La sinistra rivelata/2

Continuo la pubblicazione di alcuni brani tratti da "La sinistra rivelata". Pubblicherò in varie puntate il capitolo 2 del libro, dedicato a sviluppo, decrescita e sinistra. Lo sviluppo è indicato, nel libro, come uno dei postulati del "capitalismo assoluto", che non può essere messo in discussione dalla sinistra che vuole accedere al potere. Ricordo che il libro è stato scritto prima del 2007.
(M.B.)


Alla parte seguente


Lo sviluppo, un dogma in crisi

L'ultimo dei postulati del capitalismo assoluto che vogliamo discutere è quello relativo allo sviluppo, inteso come crescita indefinita del Prodotto Interno Lordo. Il postulato può essere formulato nel modo seguente.
(...)Il fine della politica è favorire lo sviluppo. Tutti i problemi sociali devono essere affrontati attraverso lo sviluppo e solo i problemi ai quali lo sviluppo può dare una risposta possono essere affrontati.
Discutiamo tale postulato in un capitolo a parte perché ha bisogno di una trattazione più approfondita, e questo per tre motivi. In primo luogo esso ha carattere più fondamentale rispetto a quelli precedentemente discussi, rappresenta cioè il vero principio irrinunciabile del capitalismo assoluto. In secondo luogo lo sviluppo appare oggi come una realtà in crisi, almeno in regioni significative del pianeta, fra le quali l’Europa, e l’Italia in particolare. Questo implica che uno dei cavalli di battaglia di tutte le forze politiche nei nostri paesi è il rilancio dello sviluppo, e occorre quindi discutere cosa significa e cosa comporta tale rilancio. In terzo luogo il dogma che lo sviluppo sia sempre e comunque un fatto positivo è estremamente diffuso, per cui di fronte a tale dogma occorre un ragionamento più lungo per spiegarne la nocività. Non basta, cioè, mostrare come esso sia condiviso da destra e sinistra, anzi questa è la parte più facile dell’argomentazione. A differenza dei postulati precedenti, che portano all’attacco ai diritti del lavoro o al servilismo verso le guerre USA, nel caso del dogma dello sviluppo la sinistra non fa nemmeno finta di differenziarsi dalla destra. Ciascuno dei due schieramenti vuole presentarsi come quello che aiuta lo sviluppo e rimprovera all’altro schieramento di non fare abbastanza per lo sviluppo.

 Il concreto comportamento del centrosinistra su questi temi lo si è visto al momento della lotta della Val di Susa contro il progetto del Treno ad Alta Velocità. Il progetto TAV è una tipica espressione dell’ideologia dello sviluppo: di fronte al problema dell’aumento del traffico stradale di merci, e ai disagi che questo comporta, è impensabile, per i dogmatici dello sviluppo, far diminuire il traffico di merci. La merce è l’assoluto che non può essere messo in discussione, sono il territorio e le la vita delle persone che ci abitano che devono adattarsi alla merce e alle sue esigenze. Quando la Val di Susa si è ribellata contro questo logica devastante, si è trovata come controparti da un lato il governo nazionale di centrodestra, dall’altro i governi locali (Regione Piemonte, Comune di Torino) in mano al centrosinistra [1].
E questo non è, ovviamente, un caso. Accettare il dogma dello sviluppo significa accettare tutta una serie di conseguenze sociali ed economiche, rispetto alle quali le contrapposizioni fra destra e sinistra perdono il loro significato. Infatti, nell’attuale realtà economica e politica, caratterizzata dalla “globalizzazione neoliberista” e dalla competizione universale, lo sviluppo come priorità implica:
1. Il dirottamento di grandi quantità di risorse pubbliche sul sistema delle imprese, per aiutarlo a competere sul piano internazionale. Questo comporta ovviamente una riduzione delle risorse disponibili per lo stato sociale, quindi una sua riduzione, e in definitiva una riduzione del livello di vita delle masse (che può essere ottenuta in modi diversi).
2. La diminuzione dei diritti dei lavoratori subalterni, sempre per favorire la competitività.
3. L’accettazione delle negative conseguenze ecologiche dello sviluppo stesso.
4. Il tentativo di controllare le fonti di materie prime, specie di quelle che si avviano a diventare scarse (come il petrolio).
Le conseguenze della scelta dello sviluppo sono quindi l’attacco ai diritti e ai redditi dei ceti subalterni, la distruzione dell’ambiente, le guerre per il controllo delle risorse.
L’unica alternativa è una politica di decrescita, di riduzione progressiva del Prodotto Interno Lordo, fatta su criteri di equità, giustizia e solidarietà [2].
Chi sta dalla parte dello sviluppo, sta di fatto dalla parte del sistema vigente, qualunque illusione coltivi riguardo alla sua collocazione. Questa adesione all’ideologia dello sviluppo da parte di chi si proclama di sinistra può assumere le forme più diverse, ma in sostanza gira attorno a pochi argomenti di senso comune che possono essere più o meno riassunti come segue:
“Coloro che criticano lo sviluppo e sostengono la decrescita vogliono il ritorno all’economia del passato, a costumi sociali arcaici, ai buoni tempi andati. Ma noi non vogliamo tornare alle condizioni di una volta, alla vita media brevissima, alle malattie che non si sapevano curare, alle carestie, alle giornate di lavoro lunghe e tormentose. Vogliamo, come è sempre stato nella tradizione del movimento operaio, lo sviluppo economico, scientifico e tecnologico liberato però dai condizionamenti, dai vincoli e dalle priorità  dell’organizzazione sociale capitalistica”.
A queste argomentazioni di senso comune si possono contrapporre almeno sei osservazioni estremamente sintetiche.
Primo. La decrescita mira ad una riduzione progressiva della quantità di merci e dell’ammontare del prodotto interno lordo, quindi del consumo di energia e di materie prime, ma niente affatto del tenore di vita, che vuole anzi innalzare. Banalmente: quanto più il traffico automobilistico urbano è denso, caotico e lento, e addirittura, quanti più incidenti automobilistici ci sono, tanto più c’è sviluppo (per il maggior consumo di carburante e veicoli, e per il giro di assicurazioni e riparazioni), mentre un sistema efficiente di trasporto pubblico, in una città chiusa al traffico privato, sarebbe decrescita, una decrescita che, in tutta evidenza, migliorerebbe il tenore di vita. Gli esempi di questo tipo sono numerosissimi. Lasciamo a Bush, quando dice “il nostro tenore di vita non è negoziabile”, la confusione fra tenore di vita e quantità di merci, fra sviluppo e benessere.
Secondo. La decrescita non è affatto antimodernista, perché anzi, mirando  a sostituire tecnologie ecologicamente leggere al posto di quelle pesanti, tecnologie di risparmio energetico (non di fonti alternative di energia, a cui essa è in linea di principio contraria) al posto di quelle dissipatrici di energia, promuove, anche in pratica (si pensi alle invenzioni documentate, anche se rifiutate dall’industria, di alcuni scienziati impegnati su questa linea), tecnologie in cui ci sono più “logie”, cioè apporti scientifici, che mere tecniche, e promuove, quindi, una modernità più evoluta.
Terzo. La decrescita non vuole proprio per niente tornare a costumi sociali arcaici e ad una economica arcaica. Al contrario, la decrescita è finalizzata ad una evoluzione dell’economia che la connetta più strettamente ai bisogni sociali, ad uno stile di vita più edonista perché non trascinato dalla rincorsa stressante a consumi superflui o, peggio, resi necessari dalla cattiva organizzazione sociale. Il benessere ed i piaceri della vita non crescono al crescere della quantità di merci, rifiuti e scarichi tossici (il consumismo è il falso edonismo di gente interiormente vuota e disperata), ma crescono con la selezione qualitativa dei beni prodotti.
Quarto. Ciò che eventualmente fa ricadere nei mali dei tempi andati non è la decrescita, ma proprio lo sviluppo. Quello che oggi chiamiamo progresso ci sta riportando ai mali di cento anni fa, come la mancanza di ogni diritto del lavoro attraverso lo smantellamento progressivo di tutte le conquiste delle lotte operaie dell’epoca keynesiano-fordista, ormai irreversibilmente tramontata, e persino a certi mali di trecento anni fa, che si ritenevano definitivamente debellati. Si pensi a come stanno ridiventando incerti e pericolosi i viaggi ed il turismo, ai danni fatti ogni anno da pochi giorni di pioggia o di neve, al riaffacciarsi di gravi epidemie. Ciò che è lo sviluppo andrebbe visto da una prospettiva più ampia di quella delle metropoli occidentali. La recente strage provocata in Costa d’Avorio dai rifiuti “importati” è un tipico prodotto dello sviluppo, che fa crescere a dismisura i rifiuti tossici e ne devia lo scarico nei paesi più deboli.
Quinto. L’idea di uno sviluppo non capitalistico è una illusione. L’intera storia del Novecento dimostra in abbondanza che non c’è altro sviluppo che quello interno al capitalismo. Chi sogna uno sviluppo non capitalistico deve assumersi l’onere della prova, deve spiegarci dove si potrà mai trovare questa araba fenice.  Nella realtà, chi vuole lo sviluppo vuole il capitalismo, qualsiasi siano le illusioni ideologiche con le quali occulta questa semplice verità.
Sesto. La crescente aggressività imperialistica è figlia dello sviluppo, che obbliga ad un sempre più vasto accaparramento delle risorse mondiali da parte delle principali potenze, e spinge l’Europa a stare sempre, alla fine, per le paure dei suoi ceti dirigenti,  a rimorchio degli Stati Uniti. Non si possono contrastare le derive belliche dell’imperialismo attuale se non in una prospettiva di decrescita. Chi è a favore dello sviluppo è, anche se crede il contrario, a favore delle guerre imperialistiche che dello sviluppo sono un corollario.

[1] Per una breve ed efficace analisi degli svantaggi e dei costi del progetto TAV si veda: A.Santisi, No TAV e interessi nazionali. La ragioni di una protesta, Indipendenza n.19/29, febbraio/maggio 2006, pp.15-18. Si veda anche G. Guastini, TAV in Val di Susa. Le ragioni di una lotta, Massari Editore, Bolsena 2006.
[2] Per una prima introduzione alle tematiche della decrescita si veda M. Pallante, La decrescita felice, Editori Riuniti, Roma 2006, oppure AA.VV, Obiettivo decrescita, EMI, Bologna 2005. Si possono trovare notizie, informazioni e bibliografia nel sito http://www.decrescita.it/







11 commenti:

  1. Che significa che la decrescita è contraria alle energie alternative? Non capisco...

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    1. Il passaggio nel testo è forse un po' troppo rapido, e me ne scuso. E' un accenno al fatto che per i teorici della decrescita la cosa decisiva è uscire dalla logica della crescita dei consumi energetici. Se si resta all'interno di questa logica, le energie alternative non rappresentano una soluzione dei problemi. Una volta usciti dalla logica della crescita dei consumi, è chiaro che è bene basarsi su energie rinnovabili. Insomma, il passaggio sul fatto che "la decrescita è contraria alle energie alternative" va letto come "la decrescita è contraria a sostenere le energie alternative senza mettere in questione la logica della crescita dei consumi energetici".

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    2. Ad oggi le alternative energetiche propinateci mi sembrano poco efficaci purtroppo.Ad esempio un fotovoltaico,per ora che si ammortizza il costo,è quasi prossimo a buttarlo.
      roberto

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    3. Assolutamente no, il fotovoltaico si ripaga ampiamente, se il progetto è fatto bene. Il problema è che col solo fotovoltaico siamo lontani da raggiungere livelli di produzione poco più che marginali. Tuttavia l'aggregato delle rinnovabili è in forte espansione e, laddove si è investito seriamente, è ormai comparabile in termini quantitativi ad altre fonti come il nucleare. Se poi aggiungiamo il contributo che viene da progetti come il solare termodinamico (quello di Rubbia per capirci) o l'interessantissimo e promettente Kitegen, secondo me le potenzialità delle rinnovabili sono enormi. Non è più il tempo delle rinnovabili come fonti marginali e poco efficienti buone per idealisti e sognatori. Il governo nell'ultimo provvedimento ha stanziato mi pare 3 miliardi per l'edilizia (come se ne avessimo bisogno). Se negli ultimi anni avesse stanziato un decimo di questi soldi in ricerca e sviluppo su progetti tipo quelli citati sopra, saremmo molto più avanti.
      Detto questo, concordo che la migliore forma di energia rinnovabile è il risparmio e l'efficienza energetica.

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    4. Kitegen è promettente solo nel senso che promette e non mantiene:
      "... è possibile che con il mio gruppo arriveremo a combinare qualcosa di convincente tra una settimana o tra alcuni mesi ...", parole di M.Ippolito, da http://it.groups.yahoo.com/group/rientrodolce/message/3708.

      Lei sa quanta energia ha riversato in rete da allora il kitegen, e quanto tempo è rimasto in volo consecutivamente?
      Non credo sia molto di più di zero kWh, 15 minuti.
      La promessa: 3 MW per 8 000 ore/anno.

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  2. Complimenti Marino. Approdo per la prima volta. Bravissimo sono daccordo sull'Analisi chiara e precisa. grazie
    roberto

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  3. Due osservazioni.

    La prima riguarda il fatto che in sostanza avete contrapposto ad un tipo di senso comune, un altro tipo di senso comune. Insomma, noto uno stile assertivo che sembra considerare superflua un'argomentazione più approfondita, e quindi una logica in qualche modo simile a quella dominante. Se si tratta di una specie di manifesto propagandistico, potrebbe anche andare bene, ma se si volesse dare una base più robusta alle tesi che sostenete, direi che l'obiettivo non sembra raggiunto.

    La seconda riguarda specificamente il punto cinque. La storia del novecento mi pare mostri che il marxismo storicamente realizzato abbia sposato in toto la logica sviluppista dei capitalisti. Del resto, lo stesso Marx invoca sempre la sviluppo delle forze produttive. Marx mutua da Hegel questo vedere gli eventi storici come superamenti successivi delle fasi precedenti. Tutto il materialismo storico è basato proprio sul concetto di sviluppo (e si tratta di sviluppo quantitativo, su questo non si possono nutrire dubbi).
    La tendenza a questo ecumenismo, l'abbracciare tesi ambientaliste senza abbandonare Marx, mi pare in effetti molto problematica.

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    1. Se si vuole discutere del rapporto fra pensiero marxista ed ecologia, bisogna partire da alcune distinzioni, preliminari a qualsiasi discorso: la prima e più ovvia è quella fra il pensiero di Marx e il marxismo storicamente esistito. Leggermente meno ovvio, ma altrettanto fondamentale, è distinguere, all'interno del pensiero di Marx, fra problematiche diverse. Marx ha elaborato una teoria generale della dinamica storica (il materialismo storico), ha enucleato gli aspetti fondamentali della logica autoriproduttiva del modo di produzione capitalistico, infine ha elaborato una teoria politica della rivoluzione proletaria. Ritengo che il lato più importante di Marx, ai fini della discussione sulla decrescita (ma non solo), sia il secondo, l'analisi della logica del modo di produzione capitalistico. Tutto questo è spiegato più distesamente in M.Badiale, M.Bontempelli, Marx e la decrescita, Asterios 2010, al quale rimando chi desideri approfondire.

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  4. In effetti è difficile che Marx o Keynes potessero avere consapevolezza dei problemi di sostenibilità ambientale che abbiamo oggi...

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    1. Giusta osservazione. Ma allora, dobbiamo storicizzare questi personaggi, invece di considerarli come pensatori sacri, non ti pare?
      In effetti, io sono solito dire che Marx è un uomo del suo tempo, e che è ridicola la posizione dei marxisti che lo vogliono destoricizzare.

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