sabato 31 agosto 2013

Ottimi spunti di riflessione

Il noto ecomunista Emiliano Brancaccio, insieme a Luigi Cavallaro (caso esemplare di "toga rossa"), ha scritto un'interessante introduzione alla monumentale opera di Rudolf Hilferding, il Capitale Finanziario. Non vengono trattate astratte e noiose questioni di dottrina marxista. L'introduzione a quello che è un enorme sforzo intellettuale per comprendere la natura del capitale finanziario è a sua volta ricca di chiavi di lettura per l'attuale crisi dell'euro. In questo breve saggio la crisi viene riassunta nella formula dello scontro tra capitali: i capitali forti del centro si scontrano con quelli deboli della periferia, cercando di consolidare la propria egemonia. Assisteremmo dunque ad un colossale processo di centralizzazione dei capitali: l'euro consente ai capitali forti di prevalere, acquisendo così i capitali più deboli. È il fenomeno dell'acquisto di imprese del sud europa da parte di capitali francesi e tedeschi. Arbitro di questo scontro sarebbe la Banca Centrale Europea, soggetto in grado, potendo determinare i tassi di interesse, di stabilire le condizioni di solvibilità delle imprese indebitate- cioè dei capitali deboli. Ciò è coerente con l'evidenza empirica: non bisogna dimenticare che la crisi dei debiti sovrani dell'estate del 2011 è seguita ad una crescita del 50% del tasso di interesse da parte della BCE nella primavera dello stesso anno. L'arbitro quindi non sarebbe un soggetto imparziale, ma un interessato supervisore del processo di centralizzazione.
Finora i capitali deboli non si sono ribellati a questa dinamica, anche perché hanno potuto scaricare il prezzo della propria debolezza sui ceti subalterni: le perniciose riforme che hanno colpito tutti i PIIGS negli ultimi anni servono a rendere conveniente la permanenza nell'euro dei capitali deboli, che hanno potuto recuperare col taglio dei salari quella competitività che hanno perduto rinunciando alla possibilità di svalutare. Dunque quello tra i capitali sarebbe sì un conflitto, ma nel cui ambito si possono stipulare anche tregue e accordi, ovviamente a spese dei lavoratori.
Se la parte analitica risulta convincente, anche quella relativa alla proposta politica può dirsi felice. Oltre agli accenni alla necessità di porre restrizioni alla libera circolazione dei capitali, e anche all'essere pronti a estendere simili restrizioni al movimento delle merci (prospettive di cui abbiamo già parlato), nel testo si indica la strada dello Stato come datore di lavoro di prima istanza. La formula è ovviamente concepita in contrapposizione col ruolo di "prestatore di ultima istanza" cui il pensiero mainstream vorrebbe ridurre le autorità pubbliche (in particolare la Banca Centrale). Lo Stato dovrebbe intraprendere la produzione di beni e servizi per i cittadini attraverso una campagna di massicce assunzioni nel settore pubblico. Questo ridurrebbe significativamente la disoccupazione, ma sopratutto inciderebbe sul potere del Capitale sul denaro. Nelle parole dei due autori: 
Di prima istanza, si badi, ossia non per fini di mera assistenza, ma in primo luogo per la produzione di quelle basic commodities che maggiormente incidono sulle condizioni del progresso materiale e civile della società e che, proprio per ciò, non dovrebbero esser lasciate alla ristretta logica dell’impresa capitalistica privata. (...) se è vero che il potere del capitale è il potere di governare l’allocazione del lavoro sociale sulla base di una logica riproduttiva espressa in forma di «domanda monetaria», una razio-nalità economica antagonistica rispetto a quella del capitale non potrà che manifestarsi preliminarmente nella forma di un potere sul denaro: cioè di una «signoria politica» che ne reprima il ruolo capitalistico di generatore e allocatore del lavoro disponibile.
  Una proposta, a ben guardare, molto simile (sia pur con diverse sfumature) a quella contenuta qui (tesi 14).  Ma non è l'unico punto di contatto che è possibile rintracciare tra i due tipi di riflessione. Cavallaro e Brancaccio, sul finire del saggio, insistono molto sull'importanza di occupare le "casematte" all'interno della sfera pubblica e delle istituzioni per arrivare ad una implementazione pratica delle proposte anti-capitaliste; e in diverse occasioni l'economista ha chiarito che parlare di decrescita è sensato, ma solo se si entra in un quadro di economia pianificata dallo Stato (questo l'intervento più recente). E un accento simile si trova nella visione propria degli autori di questo blog. Visione che risulta piuttosto originale nel quadro del dibattito sul concetto di decrescita, come ben chiarito qui.
Insomma, la crisi ha almeno un lato positivo: ci costringe a riflettere. Come si vede ci sono molti temi su cui ragionare, e molte risorse interpetative a disposizione di chi non rinuncia al pensiero critico. (C.M.)



giovedì 29 agosto 2013

Il Comune di Genova privatizza tutto

La giunta del Comune di Genova, guidata da un Sindaco eletto con poco più di un quinto dei voti degli aventi diritto, ha proposto al Consiglio comunale una delibera  con cui, in buona sostanza, si delega l'amministrazione ad avviare percorsi di privatizzazione delle società partecipate dal Comune stesso; società che erogano servizi estremamente importanti, non enti inutili. La delibera avrebbe dovuto essere votata il 29 luglio, ma la mobilitazione dei lavoratori ha costretto il Consiglio al rinvio.
Pubblichiamo di seguito un appello di varie associazioni e sindacati per organizzare una qualche forma di resistenza, in vista dell'imminente votazione. Ecco un chiaro esempio di cosa intendiamo per anticapitalismo "concreto" (tesi 7). Una lotta spontanea e da appoggiare con ogni mezzo disponibile. Una lotta che ci riguarda tutti.

Il 10 settembre il Consiglio Comunale si troverà di fronte ad una scelta strategica:
dare via libera a sindaco e Giunta per privatizzare definitivamente servizi essenziali (rifiuti, bus e metropolitana, verde pubblico, manutenzione strade...)
oppure
respingere questa proposta e dare il via a un nuovo corso economico e sociale, per un'economia rispettosa dell'ambiente, dei diritti e del reddito di cittadini e lavoratori.


Con questa delibera, seppure “emendata”, l'amministrazione comunale genovese non solo respinge ogni richiesta di discutere come rendere pubblico il servizio idrico, secondo la volontà espressa dalla maggioranza assoluta del popolo italiano nel 2011, ma si assume la responsabilità di privatizzare i servizi ancora pubblici.


Diciamo un deciso NO A NUOVE PRIVATIZZAZIONI, SI' A UN CAMBIAMENTO DI ROTTA insieme con i lavoratori di AMIU, AMT, ASTER, FARMACIE COMUNALI, BAGNI, a cui va tutta la nostra solidarietà


ASSEMBLEA CITTADINA
movimenti - lavoratori
MARTEDI' 3 SETTEMBRE ORE 17.30
PRESSO IL CIRCOLO DEL CAP
VIA ALBERTAZZI 9R (DAVANTI ALLA CASERMA DEI POMPIERI)


IL VOTO DEL 10 SETTEMBRE METTERA' FINE A OGNI AMBIGUITA':
CHI VOTA LA DELIBERA SOSTIENE GLI INTERESSI DI CHI HA BENEFICIATO DELLA CRISI E CONTINUA AD ARRICCHIRSI A SPESE NOSTRE (E DELL'AMBIENTE), TAGLIANDO POSTI DI LAVORO, SALARI, PENSIONI, SERVIZI PUBBLICI


L’unico cambiamento oggi possibile per tutelare i diritti dei lavoratori e garantire ai cittadini servizi adeguati è la trasformazione delle società per azioni Amiu, Amt, Aster e altre analoghe in enti di diritto pubblico (aziende speciali), governate con la partecipazione e il controllo della cittadinanza attiva e dei lavoratori.


L'assemblea deciderà le azioni da intraprendere per informare la cittadinanza, divulgare le alternative alle privatizzazioni dei beni comuni, estendere e consolidare l'organizzazione dei movimenti per i beni comuni e l'alleanza con i lavoratori delle aziende interessate.


Primi promotori:
Comitato genovese acqua bene comune
Comitato genovese gestione corretta rifiuti
Comitato genovese No debito
Attac Genova
Comitato genovese per una nuova finanza pubblica e sociale
Movimento No Tav Terzo Valico Valpolcevera e Valverde
Amici del Parco di Villa Rosazza
Medici per l'Ambiente
Voce di S. Teodoro
Coordinamento Comitati no gronda
Confederazione Unitaria di Base
Confederazione Cobas
Medicina Democratica

mercoledì 28 agosto 2013

Bombe sulla Siria?


Tutto lascia pensare che nei prossimi giorni assisteremo ad una campagna aerea delle potenze occidentali contro le postazioni dell'esercito di Bashar Assad. Tutto questo, se davvero avrà luogo, avverrà a 29 mesi dall'inizio della rivolta. L'Iran, la Cina, la Russia, la Germaniail ministro Mario Mauro e il ministro Emma Bonino sono contrari.


Anche noi siamo contrari. Lo siamo per ragioni di principio. Gli interventi armati delle potenze occidentali servono sempre a difendere gli interessi imperialistici di tali potenze, e mai alla difesa delle popolazioni. Ma lo siamo anche perché questo specifico intervento potrebbe rappresentare non una vera svolta nella situazione, ma una sorta di grande manovra propagandistica. Gli USA hanno chiarito che non intendono rovesciare Assad. E anche Israele non vuole un cambio di regime. 

E allora perché bombardano? Secondo quest'ottima analisi di Limes, per salvare la faccia ad Obama. Un intervento mirato, limitato nei tempi e nella portata, che non cambierebbe la situazione sul campo, ma permetterebbe ai leader occidentali di fregiarsi del titolo di poliziotti del mondo. Un intervento, infine, che potrebbe persino essere controproducente per la stessa rivoluzione siriana, ricompattando il regime, galvanizzando la sua immagine "antimperialista" e delegittimando le opposizioni.

Ecco perché siamo contrari ai bombardamenti. Una soluzione ragionevole per il conflitto siriano sarebbe invece l'embargo totale delle armi nei confronti di entrambe le parti. Esso limiterebbe la violenza degli scontri, visto che i vari arsenali andrebbero verso un progressivo esaurimento, ri-nazionalizzerebbe il conflitto (oggi la Siria è terreno di scontro di varie potenze regionali) e permetterebbe alla parte che può davvero vantare un forte sostegno popolare di avere maggiori chance per riuscire a prevalere. La redazione di Mainstream

p.s. Da ora in poi i commenti sono moderati. Per essere sicuri che il vostro commento venga approvato è sufficiente firmarsi, non andare off-topic e non adoperare toni aggressivi e insultanti verso nessuno. 

martedì 27 agosto 2013

Ancora su Lordon

Vi ricordate dell'intervento del sociologo Lordon? Abbiamo scoperto che quella che abbiamo pubblicato non era la versione integrale. Versione integrale che si può leggere qui. Le parti di cui quanto abbiamo pubblicato risultava monco sono concentrate sopratutto nella seconda metà del testo. Il riferimento alla Clearing Union di Keynes si fa più esplicito, e in generale la riflessione appare più completa e persuasiva. Buona lettura.

lunedì 26 agosto 2013

L'idea della moneta comune fa proseliti/2

Anche Keynes blog aderisce alla proposta della moneta comune per sostituire la moneta unica. Lo fa con un post interessante, che si chiude in questa maniera:

Se il partito del socialismo europeo e le sinistre ponessero questa proposta al centro della campagna elettorale per le elezioni europee del 2014, probabilmente eviterebbero la crescita dei consensi alle forze anti-europeiste e populiste. Ma, lo diciamo sinceramente, ci sono ben poche speranze che ciò accada, con conseguenze oggi difficilmente valutabili.

Se la sinistra fosse un luogo dove è possibile fare politica oggi, le speranze non sarebbero poche. Noi sappiamo però che la sinistra è il luogo dove non si capisce nulla. Inutile sperare che le sinistre partitiche si facciano carico di questa proposta, dunque. Forse creare un coordinamento di cittadini e di intellettuali a livello europeo sarebbe la cosa migliore. (C.M.)

domenica 25 agosto 2013

Riposizionamenti

Nel Corriere della Sera di oggi,  Angelo Panebianco si chiede se i cambiamenti necessari per preservare l'UE siano compatibili con l'euro. E' un altro indizio del fatto che i ceti dominanti stanno prendendo in esame ogni evenienza, anche quella della fine della moneta unica.
(M.B.)

mercoledì 21 agosto 2013

Te lo do io l'Egitto/ Integrazione

Mi sono reso conto che è difficile discutere le varie prese di posizione quando non si condivide la medesima ricostruzione dei fatti. Eccone una che condivido totalmente, e che ha anche il vantaggio di contemplare le linee guida di una possibile soluzione politica alla crisi in atto. Chi mi contesta sappia che io mi baso su questo, e che pertanto per essere efficace nella sua critica deve saper smontare quanto contenuto in quel testo. Buona lettura e buona critica, se la riterrete opportuna. (C.M.)

lunedì 19 agosto 2013

Dalla Scuola di Francoforte alla Banca di Francoforte

Abbiamo già accennato al dibattito in corso in Germania tra le posizioni di  e quelle di Jurgen Habermas. Nel suo ultimo intervento l'illustre filosofo porta alle estreme conseguenze il suo ragionamento, che ha come fine giustificare razionalmente la sopravvivenza e l'espansione dell'Unione Europea. Lo fa criticando il Ministro Wolfgang Schauble, colui che passerà alla storia come l'affamatore della Grecia. Ma non è certo questo l'oggetto della critica. Il punto è che Schauble ha scritto un articolo, dal significativo titolo di Niente Europa Tedesca!, nel quale si sostiene che la Germania è aliena da qualsiasi volontà egemonica, che non vuole ingerirsi negli affari interni degli altri Stati dell'Unione, e che in particolare le politiche di bilancio devono rimanere di responsabilità delle autorità nazionali.

 È evidente l'ipocrisia del discorso. Già oggi è di fatto il Bundestag a decidere il contenuto delle manovre di bilancio di Atene. La German Dominance, che l'euro doveva contribuire a prevenire, è ormai uno stato di cose acclarato. E tuttavia non si può non notare una certa coerenza nel ragionamento. Né il Governo tedesco né l'opinione pubblica esprimono una qualche ambizione di dominio sull'Europa. Prevale un sentimento di indifferenza e di "menefreghismo", non una volontà di sopraffazione. Il Governo Merkel ha assunto un atteggiamento severo, ma non autoritario: ha imposto delle condizioni per la permanenza dei PIGS nell'eurozona, ma non ha imposto quella permanenza. La maggior parte dei cittadini tedeschi non è entusiasta della moneta unica, ed è contraria all'istituzione dell'unione politica. Ciò si riflette anche nella giurisprudenze della Corte Costituzionale tedesca.

Nella storica sentenza del 2009, la Corte definiva l'Unione Europea come un mero ente di collegamento tra Stati (Staatenverbund), ossia un organismo priva di sovranità originaria e dipendente dalle scelte degli Stati membri, che rimangono "signori dei Trattati". Ciò fa intravedere una gerarchia tra diritto (costituzionale) nazionale e diritto UE, una gerachia esattamente ribaltata rispetto a quella delineata dalle decisioni della Corte di Giustizia dell'Unione (per la quale il diritto comunitario prevale sempre sul diritto interno).

Tale approccio, evidentemente maggioritario in Germania, è il bersaglio di Habermas. Il (pernicioso) moralismo luterano di Merkel prevede che gli Stati siano responsabili delle proprie azioni, in particolare dei propri debiti; per Habermas tale responsabilità va cancellata, perché gli Stati non devono più avere alcuna prerogativa in campo economico. Il Governo tedesco viene accusato di dissimulare le proprie responsabilità; in altre parole, di non voler assumere il comando dell'eurozona. Il fatto che la Germania non voglia esercitare il proprio dominio sul continente viene interpretato come un segno di pericolosa debolezza. È chiaro lo scopo che si prefigge Habermas: egli vuole l'annessione. Vuole rendere realmente irreversibile la nostra permanenza in euro e UE, sciogliendo anche formalmente i residui di sovranità che ci rimangono, e facendoci diventare dei grossi Länder. Si propone dunque di superare le piccinerie e l'egoismo nazionale predominante in Germania con una politica di aperto imperialismo.

Questa sarebbe l'opzione "di sinistra" per il superamento della crisi. L'ultimo erede della Scuola di Francoforte desidera il dominio incontrastato della Banca di Francoforte, senza che il Governo di Berlino ci metta becco. Ci si chiede, a questo punto, quale sia l'opzione "di destra". (C.M.)

sabato 17 agosto 2013

Te lo do io l'Egitto

L'intervento di Beppe Grillo sulla situazione egiziana è la dimostrazione patente dell'incapacità di tale soggetto (e di conseguenza della forza politica di cui è capo) di "filtrare" e rielaborare criticamente le notizie che giungono dal mainstream. Non ci concentriamo sugli strafalcioni (come quello di definire Morsi "Primo Ministro"; era Presidente della Repubblica), né sulle prese di posizione più discutibili, ma che rimangono nel campo delle opinioni (come quella per cui i militari egiziani dovrebbero essere deferiti immediatamente ad un tribunale internazionale; richiesta mai avanzata su quel blog nei confronti di Bashar Assad, responsabile del genocidio siriano).

Quel che si contesta è, appunto, l'incapacità di valutare criticamente le notizie. Beppe Grillo legge il mondo attraverso schemi concettuali rigidi e stantii. C'è un golpe in un paese del terzo mondo? Allora il golpista è per forza un Pinochet, ci sono dietro gli USA, la comunità internazionale tace e ignora il crimine che si sta consumando. Eppure il golpe egiziano, in sé, non ha prodotto nessuna vittima: i capi dei fratelli musulmani sono vivi e vegeti; nessuno ha torto un capello al preteso Allende, cioé Mohammed Morsi; la repressione è cominciata soltanto dopo che le milizie dei Fratelli Musulmani hanno attaccato, armi in pugno, le postazioni dell'esercito. Gli USA, che avevano puntato tutto sul governo dei Fratelli, sono rimasti spiazzati dal golpe, e ora meditano di eliminare il programma di aiuti all'esercito egiziano. Quasi tutti i governi del mondo condannano a gran voce la violenza dei militari, dall'Iran al Qatar alla Turchia fino alla Unione Europea (un bel parterre, non c'è che dire).

Il post accetta in toto la narrazione dei media occidentali, per cui i militari egiziani hanno fatto strage di civili innocenti. Ma l'esercito egiziano non ha colpito solo pacifici e inermi dimostranti, come è avvenuto in Siria due anni fa; è intervenuto su miliziani armati, i quali avevano occupato un intero quartiere del Cairo, terrorizzandone gli abitanti, rapendo e seviziando in apposite camere di tortura i loro oppositori, e di lì sparando su tutto quello che si muoveva. I "pacifici dimostranti" hanno attaccato la Biblioteca di Alessandria, incendiato il ministero delle Finanze, devastato la facoltà di Ingegneria dellìuniversità del Cairo. I Fratelli hanno assaltato stazioni di polizia, linciandone gli occupanti, hanno assaltato diverse chiese copte spesso incendiandole, con danni culturali notevoli, hanno disperso le manifestazioni dei sostenitori del governo a colpi di bastone e machete. Certo, la reazione dell'esercito è stata spaventosa, ma gli unici a rallegrarsi del numero dei morti sono proprio i capi dei Fratelli Musulmani, che adesso hanno dei martiri da sventolare di fronte alla telecamere dei media di tutto il mondo.

Si dice spesso che Morsi è stato eletto democraticamente. Ci si scorda di dire che un Presidente eletto con il 25% dei voti ha interpretato il suo ruolo come accentratore di tutti i poteri costituzionali; che ha emanato decreti che lo trasformavano in un soggetto legibus solutus; che il golpe è avvenuto al seguito di manifestazioni molto più grandi di quelle che hanno rovesciato Mubarak; che altri quattro anni di Morsi averebbero distrutto l'Egitto.

Tutto questo Beppe Grillo non lo vede, e forse non può vederlo, intrappolato nella retorica populista che vede dappertutto, e solamente, masse in rivolta contro poteri dispotici. I Fratelli hanno vinto le elezioni e sono stati rovesciati da un golpe; tanto basta a Grillo. Non importa che quella organizzazione abbia di fatto dichiarato guerra all'Egitto, che non si arrenderà finché i suoi referenti internazionali non le avranno restituito il potere, che se l'esercito non riuscirà a prevalere l'unica prospettiva è il baratro della guerra civile. Anzi, forse in quest'ultimo caso Grillo si accorgerà di quanto è avvenuto: ondate migratorie di egiziani disperati si abbatteranno sulle nostre coste, i movimenti xenofobi denunceranno l'invasione, e il capo del M5S sarà alla loro testa. (C.M.)

martedì 13 agosto 2013

L'idea della moneta comune fa proseliti

L'idea di sostituire alla valuta unica di stampo Hayekiano una valuta comune di stampo Keynesiano continua a fare proseliti. Ecco un intervento del sociologo Frederic Lordon, apparso sul Le Monde Diplomatique, che perora tale soluzione. Oltre alla proposta, interessante è l'analisi delle deficienze delle sinistre europee, così come il ragionamento (familiare agli utenti del blog) per cui spostare il conflitto a livello sovranazionale significa regalare un immenso vantaggio strategico alle forze del capitale. Segue il testo. Solo una breve notazione. Su questo sito la proposta di Lordon viene derubricata, né più né meno, all'idea di resuscitare lo SME. Sembra tuttavia dubbio che queste siano le intenzioni del sociologo. Quel che è certo è che il meccanismo del fu SME non ha nulla a che fare con la moneta comune proposta qui, ad esempio. I due punti cardine del nuovo sistema monetario dovrebbero essere il controllo (se non il blocco) dei movimenti di capitale e soprattutto l'istituzione di una camera di compensazione degli scambi commerciali intra-europei, che costringa in paesi in surplus ad adottare politiche fiscali espansive (proposta che, a ben guardare, non ha nulla di nuovo)
 Non facciamoci ingannare dalle formule, dunque. Non si tratta di approdare ad una versione soft dell'euro, ma di costruire un sistema monetario alternativo e, sotto certi aspetti, concretamente rivoluzionario. (C.M.)

Una moneta comune per uscire dall'euro

Già oggi in Europa le stesse banconote non hanno più lo stesso valore che hanno in Grecia o in Germania. È cominciata forse l’esplosione della moneta unica? Di fronte a uno scenario di caos è possibile costruire un’uscita dall’euro concertata e ben organizzata.

venerdì 9 agosto 2013

Perché lo difendono?

Chi ha letto il Corriere della Sera in questi giorni ha avuto l'impressione di trovarsi di fronte una versione appena più moderata de Il Giornale. Tra interventi critici della sentenza che condanna Berlusconi e di chi l'ha emessa, commenti affidati all'Avvocato Coppi e a esponenti del PdL, pelosissimi inviti alla "pacificazione" (leggi: salvacondotto per B.), il quotidiano della grande borghesia italiana ha ormai scelto con chiarezza da che parte stare.
Ma perché cresce il partito dell'impunità, come correttamente segnalato dal Fatto Quotidiano? Perché l'establishment finanziario di questo paese, che nell'autunno del 2011 ha tramato per rovesciare B. e alle elezioni gli ha contrapposto il blocco di Mario Monti, adesso tenta di proteggerlo dalle conseguenze penali dei suoi stessi atti? Cosa spiega questo berlusconismo di ritorno?
Certo, non bisogna sottovalutare il potere di ricatto in mano al duce del PdL. Se questi decidesse di giocare il tutto per tutto, organizzando una campagna elettorale in grande stile centrata sull'uscita dall'euro, provocherebbe sconquassi tali da far crollare il già pericolante edificio di Bruxelles. Dunque l'establishment ha un ottimo motivo per "tener buono" B.
Forse però oltre alle motivazioni per così dire tattiche ve ne sono anche di strategiche. L'articolo di Angelo Panebianco è illuminante in tal senso. Ricordiamo che stiamo parlando di uno dei Saggi chiamati da Napolitano a modificare la Costituzione.
Il politologo denuncia uno "squilibrio di potenza" tra politica e ordine giudiziario. Se alcuni politici vengono inquisiti e talvolta persino condannati non è perché questi delinquano (ciò è dato in qualche modo per scontato), ma per l'eccessivo potere detenuto dalla magistratura. Per rimediare occorre una riforma della politica, che accresca di molto i poteri dell'esecutivo, e una riforma della giustizia, che a quell'esecutivo deve essere finalmente subordinata.
Fin qui nulla di particolarmente nuovo: sono le posizioni del "riformismo" giudiziario che il Corriere appoggia da ormai diversi anni. È il prosieguo del ragiomento a rivelare che la borghesia italiana, difendendo Berlusconi, difende sé stessa.
Panebianco propone niente meno di rivoluzionare i corsi di giurisprudenza, di incidere sulla mentalità dei futuri operatori giuridici, iniettando forti dosi di "sapere empirico" nei corsi. Insomma:
Si addestrino i futuri funzionari, magistrati e amministratori, a fare i conti con la complessità della realtà. È ormai inaccettabile, ad esempio, che un magistrato, o un amministratore, possano intervenire su delicate questioni finanziarie o industriali senza conoscenze approfondite di finanza o di economia industriale. È inaccettabile che gli interventi amministrativi o giudiziari siano fatti da persone non addestrate a valutare l'impatto sociale ed economico delle norme e delle loro applicazioni.
 Balzano subito alla mente di casi dell'ILVA, della FIAT, della Eternit, della Thyssen Krupp. È facile immaginare che magistrati dotati del "sapere empirico" di cui parla Panebianco non si sarebbero arrischiati a far inviperire Marchionne, applicando la legge per come è scritta; se avessero accuratamente valutato l'impatto sociale ed economico non avrebbero condannato i vertici Thyssen: e a fronte dell'innegabile complessità della situazione di Taranto, non avrebbero osato interrompere l'attività della fabbrica dei tumori. E questi sono solo i casi più eclatanti. Non è un segreto che l'impresa italiana si regge prevalentemente sulla violazione di leggi, siano esse quelle a tutela del lavoro, dell'ambiente, della fedeltà fiscale, del buon andamento della pubblica amministrazione... È una delle intuizioni delle 28 tesi di Badiale e Bontempelli (tesi 17 e 18) che il capitalismo, raggiunta una certa fase, per riprodursi è costretto a liberarsi dei "lacci e lacciuoli" di berlusconiana memoria, ossia delle norme a tutela di quei beni (come la salute, l'ambiente e il lavoro) che dallo sviluppo capitalistico sono irrimediabilmente sviliti. La legalità, e gli istituti che la preservano (come l'indipendenza della magistratura), assumono oggi un ruolo oggettivamente anti-capitalistico. Non stupisce dunque che il capitalismo italiano, per bocca dei suoi mezzi di informazione, difenda il personaggio che incarna la maggiore minaccia ai principi di legalità e separazione dei poteri. I "padroni" italiani, difendendo B., difendono loro stessi. E questo spiega anche perché le forze politiche a diretto servizio del grande capitale, come il PD, abbiano sempre avuto un atteggiamento conciliante e collaborativo con il Caimano, fino a governarci insieme. (C.M.)

lunedì 5 agosto 2013

La sinistra non capisce nulla

Francesco  De Gregori, l'autore di tante bellissime canzoni che hanno segnato la nostra “educazione sentimentale”, ci ha fatto sapere alcune sue opinioni politiche in un'intervista al Corriere della Sera del 31 luglio. Si tratta di un documento interessante per capire la realtà del nostro paese, e in particolare di quella parte dell'opinione pubblica che qualifichiamo “sinistra”. De Gregori infatti è una persona colta e intelligente, sa parlare bene, non aggredisce e non insulta. Non è uno studioso, ma è sicuramente un rappresentante della parte migliore dell'opinione pubblica di sinistra. Ebbene, che cosa emerge da questa intervista? Emerge, per esempio, che De Gregori alle ultime elezioni ha votato Monti e Bersani e che nutre “un certo rispetto per il lavoro non facile di Letta e Alfano”. Opinioni rispettabilissime e condivise da molti. La cosa che turba leggermente la mia mente razionalistica è che De Gregori, dopo queste affermazioni, aggiunge

Sono convinto che vadano tutelate le fasce sociali più deboli, gli immigrati, i giovani (..). Sono convinto che bisogna lavorare per rendere i poveri meno poveri, che la ricchezza debba essere redistribuita; anche se non credo che la ricchezza in quanto tale vada punita. E sono a favore della scuola pubblica (...)

Ora, il problema che si pone è ovvio: come fa una persona intelligente e onesta a tenere assieme le due cose? La risposta è abbastanza facile: De Gregori non ha capito nulla. Non ha la minima idea di quale sia la realtà sociale, economica e politica dell'Italia e del mondo. Ovviamente, questa affermazione deve essere presa cum grano salis. Intendo cioè dire che una persona come De Gregori non ha capito le cose fondamentali, non ha uno strumento di lettura corretto della realtà, e quindi non sa in nessun modo comprendere la realtà stessa. Poi in mezzo a questa fondamentale incomprensione vi possono essere tante singole osservazioni sensate e analisi ragionevoli. Ma nella sostanza l'incomprensione è totale.
Ovviamente non si tratta di un limite personale (fosse questo, non varrebbe la pena parlarne). Il punto è quello che dicevamo sopra: De Gregori è un ottimo rappresentante dell'opinione pubblica di sinistra (delle sue parti migliori, aggiungiamo). Questo ci permette di definire cosa è la sinistra oggi: è la parte di opinione pubblica nella quale è possibile sostenere di votare per Monti affermando allo stesso tempo di voler tutelare le fasce più deboli, senza che questa strabiliante affermazione venga accolta, come meriterebbe, da fischi e pernacchie. La domanda allora è la stessa vista sopra: come è possibile? E la risposta è pure la stessa: è possibile perché la sinistra non ha capito nulla di quello che è successo negli ultimi trent'anni, in Italia e nel mondo (mi riferisco qui, ovviamente, alle persone oneste come De Gregori, escludendo i mascalzoni). E qui per “sinistra” intendo ovviamente quella sua parte che ne struttura il ragionare e il sentire, cioè il ceto politico, gli intellettuali, i giornali  e gli studiosi. L'intero mondo della sinistra non capisce nulla della realtà contemporanea.  Questo dovrebbe essere ormai un punto fermo. Occorre assumerlo con chiarezza, per metabolizzarlo e andare, si spera, oltre la sinistra. Come esercizio di metabolizzazione, si può cominciare a sostituire alla astrazione “sinistra” la concretezza di alcune singole persone. Provate: Rossanda non ha capito nulla. Tronti non ha capito nulla. Asor Rosa non ha capito nulla. Fassina non ha capito nulla. E così via. E' un esercizio salutare.

(M.B.)