giovedì 31 ottobre 2013

Sinistra e destra, progresso e conservazione

 Qualche tempo fa Claudio ha pubblicato un post su destra e sinistra che ha suscitato un certo dibattito fra i nostri lettori, segno che il tema interessa. Intervengo quindi per riprendere alcuni dei temi di quel dibattito. Come sa chi ha letto le cose che vado scrivendo da quasi una ventina d’anni, sono uno dei sostenitori del carattere superato e obsoleto della opposizione categoriale destra/sinistra. Non intendo qui ripetere cose dette altrove, ma mi limiterò a discutere due tesi che sono emerse nel dibattito sul post di Claudio. La prima di queste tesi argomenta che, se è vero che la sinistra politica non ha più nulla a che fare con il suo patrimonio ideale, tale patrimonio resta pur sempre un  punto di riferimento che appare distinto e incompatibile rispetto al patrimonio ideale della destra. Si avrebbe dunque un “tradimento” della sinistra concreta rispetto al suo “tipo ideale”,  ma in termini, appunto, di “tipi ideali”,  la “sinistra” resterebbe pur sempre chiaramente distinguibile dalla “destra”. La seconda, sostenuta da Claudio, è che l’affievolirsi del contrasto è dovuto al fatto che la sinistra è scivolata sulle posizioni della destra, e non viceversa. Si tratta di due obiezioni diverse ma compatibili, e che si rafforzano a vicenda.
Rispetto ad entrambe occorre dire subito che esse colgono aspetti di realtà. Non sono cioè obiezioni assurde. Rappresentano piuttosto delle verità parziali. Ma gli errori peggiori che si possono commettere in politica non sono le assurdità, che si confutano da sé, ma appunto le mezze verità.

mercoledì 30 ottobre 2013

Servizio anti-bufala

È praticamente certo che la notizia relativa alla criminalizzazione del dissenso anti-UE in Grecia costituisca una grossa bufala.

Questa "notizia" è circolata su vari siti a partire da qualche settimana fa, quando alcune voci, che spesso si rifacevano a Panagiotis Grigoriu, giornalista greco, cominciarono a metterci in guardia dell'imminente introduzione, da parte del parlamento greco, di una nuova fattispecie incriminatrice, destinata appunto a colpire chi esprimesse opinioni anti-UE. Una successiva ricerca chiariva come, di tali notizie, sulla web-sfera in inglese non risultasse la minima traccia; molto singolare, vista l'enormità dell'innovazione legislativa.

Passa un po' di tempo, e sul sito Teste Libere, riconducibile a Per il Bene Comune, compare un post che risulta pubblicato da Monia Benini, in cui si dà conto dell'avvenuta entrata in vigore (a partire dal 24 ottobre) della nuova norma contro l'euroscetticismo. Chi non è d'accordo con le politiche UE, si dice, rischia fino a due anni di carcere. Il post viene ripreso da molti blog e piccole testate web (a mo' di esempio: qui e qui). La fonte è un post di Giorgos Delastik sul sito greco PRIN, che in effetti commenta una modifica del codice penale greco. Solo che la modifica ha come oggetto una cosa diversa da quanto affermato dalla Benini.

La mozione votata dalla maggioranza di "larghe intese" greca inserisce un nuovo comma all'art 458 del locale codice penale, che già conteneva la previsione di una pena pecuniaria per chi trasgredisse provvedimenti amministrativi. Con tale modifica si sancisce che chiunque violi intenzionalmente le misure sanzionatorie e restrittive decise dalla UE o dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU a carico di Stati, organizzazioni, persone fisiche e giuridiche, è punito fino a due anni*.

Vedete che siamo in un ambito completamente diverso (e lontano) sia dai reati d'opinione, sia dall'implementazione delle politiche di matrice UE nei confronti dei cittadini greci. Il vero ambito materiale della nuova norma è la politica estera. Se l'UE o l'ONU designano come "terrorista" un'organizzazione o una persona fisica, oppure qualificano come responsabile di crimini internazionali uno Stato, e vi comminano delle sanzioni, allora la violazione delle misure amministrative comprese in queste sanzioni diviene una fattispecie penalmente perseguibile. Es: un membro di una giunta militare africana è destinatario di una limitazione di espatrio? Se io gli faccio arrivare dei documenti che gli consentano i viaggi internazionali, o comunque lo aiuto nella trasgressione della misura, sono punito. Finanzio un'organizzazione politica/militare che la UE ha designato come terrorista? Sono punito. Commercio con un paese sottoposto a embargo? Sono punito. E così via.

A riprova di quanto affermato, basta leggere la reazione del commentatore; il quale è sì polemico nei confronti dell'innovazione legislativa, ma non certo perché limiti la libertà di opinione. "Ogni greco che sostenga organizzazioni come Hezbollah e il PKK potrà essere imprigionato!" si lamenta il commentatore, dove alla voce "sostegno" mi sembra chiaro che non si possa comprendere una mera solidarietà ideale**. Addirittura, ironizza Delastik, "con questa norma, ai tempi dell'aggressione NATO della Serbia, si sarebbe dovuto chiudere in carcere l'intera Grecia, visto che il 97% dei cittadini greci era contrario!"


È chiaro dunque che non si sta parlando di reati d'opinione, e che l'euro e la politica UE nei confronti della Grecia non c'entrano assolutamente nulla. Siamo nell'ambito della politica estera, e più precisamente della cooperazione internazionale. L'intero equivoco è da far risalire alla "traduzione" dal greco di Monia Benini, o di chi per lei, che è del tutto interessata e fuorviante.

Di questo tipo di disinformazione è necessario liberarsi al più presto. Non si combatte il mainstream producendo bufale. La menzogna rende sciatti, e la manipolazione corrompe. Dovremmo abituarci ai più alti standard di verifica delle fonti, per non incappare in simili cantonate. (C.M.)


 Valga il vero: Όποιος µε πρόθεση παραβιάζει κυρώσεις ή περιοριστικά µέτρα που έχουν επιβληθεί σε βάρος κρατών ή οντοτήτων ή οργανισµών ή φυσικών ή νοµικών προσώπων µε αποφάσεις του Συµβουλίου Ασφαλείας του ΟΗΕ ή µε κανονισµούς της ΕΕ τιµωρείται µε φυλάκιση τουλάχιστον έξι µηνών, εκτός αν από άλλη διάταξη προβλέπεται βαρύτερη ποινή. Οι διατάξεις του προηγούµενου εδαφίου εφαρµόζονται και όταν οι προβλεπόµενες σε αυτό πράξεις δεν είναι αξιόποινες κατά τους νόµους της χώρας στην οποία τελέστηκαν. Questa è la versione originale del nuovo comma: nel corso del dibattito parlamentare il limite è stato portato a due anni.

** I greci sono tendenzialmente teste calde. L'idea di "sostegno" per loro è assai concreta. Centinaia di volontari greci si recarono in Bosnia e Kosovo per sostenere lo sforzo militare dei serbi, negli anni '90. I più in seguito sono confluiti in Alba Dorata. Si vocifera che, oggi, elementi greci combattano a fianco delle milizie di Assad in Siria.


ADDENDUM: e dai, un po' di senso dell'umorismo! Qualcuno ha protestato perché ho definito i greci delle notorie teste calde. A parte che è vero (e in genere lo ammettono), non si tratta di un insulto e volevo semplicemente fare dell'ironia. La prossima volta ci metto una faccina... (C.M.)

Operazione verità


Segnaliamo con piacere questo post, dal benemerito blog "Voci dall'estero":

 http://vocidallestero.blogspot.it/2013/10/operazione-verita-che-punto-e-la-notte.html#more

 (M.B.)


lunedì 28 ottobre 2013

Ore decisive per Genova


Ne abbiamo già parlato (quiqui). Riprendiamo il comunicato del Forum dei Beni Comuni di Genova. 

In queste ore, in questi giorni, le solite mani lunghe sono al lavoro.
Sono questi giorni cruciali per la nostra città. Stiamo per subire un danno difficilmente riparabile, ma è ancora possibile impedirlo

 
NON LASCIAMOLI LAVORARE NELL'OMBRA
E' IL MOMENTO DI FAR SENTIRE LA NOSTRA VOCE
 
 
Martedì 29 ottobre davanti a Palazzo Tursi (Via Garibaldi) dalle 17.30 alle 19.
PRESIDIO DEI MOVIMENTI CITTADINI 
PER I BENI COMUNI
 
Sono all'opera dal 1992-3, hanno privatizzato tutto il nostro enorme patrimonio pubblico distruggendo il tessuto industriale del nostro paese, devastando l'ambiente e la salute dei cittadini, trasferendo enormi ricchezze che erano di tutti nelle mani di pochi, le loro.
Come tutti i rapinatori, per prendere 10 hanno distrutto 1.000.
Ora stanno mettendo a segno l 'ultimo colpo: la definitiva sottrazione dal controllo democratico dei cittadini delle aziende  che gestiscono servizi indispensabili, perciò fonti di rendite sicure: i rifuti (AMIU), la mobilità (AMT), le manutenzioni stradali, il verde pubblico ecc. (ASTER), con il corollario dei bagni e delle farmacie comunali.

Chi ha un'altra visione della società e dei valori umani e sa che un altro mondo è possibile ha oggi il diritto-dovere di farsi sentire. 
QUESTO E' IL MOMENTO, DOPO NON SERVIRA' MUGUGNARE

domenica 27 ottobre 2013

Il sacco di Atene- e di Zagabria?

Il sito Sollevazione ha commentato una notizia, diffusa da La Repubblica, ripresa da vari siti, sull'impoverimento subito dai greci negli ultimi anni di permanenza nell'euro. L'analisi ha il merito di illustrare quale sia l'alternativa al diniego totale di rimettere in discussione la moneta unica. Non stanchiamoci di ripeterlo: è fallace discutere sui danni (ma anche sui benefici) che un'uscita dall'euro potrebbe provocare, senza compararli con quelli che sicuramente la permanenza produce. Come diceva un saggio: invecchiare è spiacevole, ma certamente è meglio dell'alternativa.

Un'altra notizia che ha percorso molti siti di "controinformazione" negli ultimi giorni è quella relativa all'improvvisa crisi che starebbe vivendo l'economia croata, all'indomani dell'adesione all'Unione Europea. Essendo questa avvenuta il 1° luglio, è forse troppo presto per valutare con cognizione di causa gli effetti dell'adesione sull'economia del paese balcanico. Di certo nell'estate la bilancia commerciale croata ha visto un tracollo, presto recuperato:


Nei mesi precedenti all'adesione, quando era chiaro che la Croazia era saldamente all'interno della prospettiva UE, si è verificato un deciso aumento del debito estero:


Vedremo meglio nel prossimo anno. Di sicuro, la dinamica che fin qui si è verificata nell'ambito dei paesi aderenti alla UE (non parliamo poi di quelli entrati nell'eurozona) è stata quella del peggioramento delle partite correnti e dell'afflusso di capitali esteri. Fondato è il timore che i croati dovranno presto giudicare avventata la loro scelta di entrare a far parte di questo folle sistema. (C.M.)

venerdì 25 ottobre 2013

Mauro Bonaiuti e il problema dei rendimenti decrescenti

Mauro Bonaiuti, La grande transizione. Dal declino alla società della decrescita, Bollati Boringhieri 2013.

Mauro Bonaiuti ha scritto un testo di grande interesse, che dovrebbe essere letto da tutti coloro che hanno preso coscienza di come l'attuale organizzazione economica e sociale sia sempre più incapace di affrontare i problemi da essa stessa creati, e si stanno interrogando sulle possibili vie d'uscita al vicolo cieco in cui sembra essersi cacciata la nostra società. Il libro offre una grande ricchezza di riferimenti. In questo rispecchia la formazione dell'autore, che ha conseguito un dottorato in Storia delle Dottrine Economiche studiando l'opera di Nicholas Georgescu-Roegen, e ha tenuto corsi di tipo economico in varie Università italiane, ma ha anche studiato autori come Weber, Simmel, Marx, Polanyi, Malinowski, Mauss, che il pensiero economico mainstream non degna di grande attenzione.
Il libro è strutturato in una introduzione e quattro densi capitoli, ed è arricchito dalla prefazione di Serge Latouche. Il primo capitolo esplicita l'approccio generale seguito nel libro, che è quello del “pensiero della complessità”. Il secondo delinea gli aspetti fondamentali della moderna società industriale vista come “età della crescita”, e gli ostacoli contro i quali sembra infrangersi oggi il tentativo di proseguire nella stessa direzione. Il terzo capitolo, probabilmente il più importante sul piano teorico, introduce l'ipotesi che la nostra società sia entrata in una fase di rendimenti decrescenti (ne parleremo meglio nel seguito). Infine l'ultimo capitolo propone diversi scenari di possibili sbocchi politico-istituzionali della crisi attuale.
Come abbiamo detto, il nocciolo teorico del libro ci sembra essere il terzo capitolo, nel quale l'autore espone la tesi che l'attuale organizzazione economico-sociale sia entrata in una fase di “rendimenti decrescenti” (DMR: Declining Marginal Returns). Il concetto è ripreso dagli studi dell'archeologo J.Tainter, che ipotizza uno schema molto generale sulla ascesa e caduta delle società. Secondo Tainter, le società crescono e diventano più complesse per rispondere ai nuovi problemi che devono fronteggiare e per non soccombere ai mutamenti storici. Ma questo processo di complessificazione incontra dei limiti. Scrive Bonaiuti che “l'idea di fondo sostenuta da Tainter è che al crescere della complessità delle strutture che compongono una società, oltre una certa soglia, i benefici di ulteriori incrementi di complessità si riducono (…). Insieme al ridursi dei benefici, i rendimenti decrescenti comportano generalmente l'incremento di varie tipologie di costi, anche questi da intendersi in senso ampio, non economicistico” (pag.99).

giovedì 24 ottobre 2013

La fine dell'euro sta diventando mainstream

Il prof. François Heisbourg, figura di establishment se ce n'è una, ha dato recentemente alle stampe un libro, La fine del sogno europeo, in cui perora il ritorno alle monete nazionali degli Stati che attualmente fanno parte dell'eurozona. Per capire meglio l'importanza di questo fatto consigliamo la lettura di questi due articoli, in italiano e in inglese. L'attuale quadro politico europeo non è mai apparso tanto favorevole agli "euroscettici": mentre Angela Merkel si dice favorevole a cambiare i Trattati europei, ma solo per renderli ancora più duri verso i paesi in difficoltà, nel fronte dei paesi in deficit commerciale (e la Francia ne è il capofila) si comincia a discutere delle vie d'uscita. La prospettiva "federalista" diventa ogni giorno più irrealistica, dovendo tenere insieme le inconciliabili istanze di un Sud Europa in difficoltà, con quelle di una Germania del tutto tetragona nella difesa delle proprie rendite di posizione; la proposta di superamento dell'euro invece continua a far breccia in diversi ambienti, e ora può contare su un dibattito aperto nell'ambito della classe dirigente francese. (C.M.)

mercoledì 23 ottobre 2013

Fornero dixit

Nel  Corriere di oggi, Aldo Cazzullo intervista l'ex ministro Fornero. Lettura interessante, rispetto alla quale mi limito a fare un rapido commento su due passaggi. Il primo è il seguente:

all'estero si guarda molto di più ai contenuti. E sono consapevoli del lavoro che abbiamo fatto: sono appena andata due settimane in Germania, dove ho presentato e discusso le nostre riforme. Sono cose che fanno piacere.

e il commento ovvio è: fanno piacere a chi? Ai ceti dirigenti tedeschi di sicuro, e al popolo italiano?

L'altro passaggio è una annotazione rispetto alla decisione di Monti di "salire in politica". Dice Fornero:

La decisione fu presa nella linea del servizio al Paese e, credo, anche tenendo conto delle aspettative all'estero.

E anche qui si potrebbero fare tanti commenti, del tipo "avevamo avuto il sospetto, in effetti" oppure "si dice estero, si intende Berlino (e Washington)". Ma la cosa migliore è mettere assieme i due passaggi per capire bene con chi abbiamo a che fare. Ministri che ci tolgono diritti e redditi e poi vanno a farsi fare i complimenti in Germania, e certo sono cose che fanno piacere. Capi di governo le cui scelte politiche tengono conto, certo, delle aspettative all'estero. Un bel quadretto. Un ministro del governo di Vidkun Quisling non avrebbe detto cose diverse, mi immagino.
(M.B.)

martedì 22 ottobre 2013

Mancato senso del pudore

 L'attuale Ministro dell'Istruzione, dell'università e della Ricerca, già Rettore della Scuola Superiore di Sant'Anna, emana un decreto che ripartisce ai vari Atenei le risorse indispensabili per effettuare nuove assunzioni, e premia in maniera spudorata la propria Università di origine. Altro che Cetto La Qualunque. Per fare questo depreda di risorse molti Atenei, in particolare a Roma e al Sud. In generale è vistoso il trasferimento di ricchezza dalle Università meridionali a quelle centro-settentrionali, che accentua il già spaventoso divario tra i diversi istituti e che porterà, presto o tardi, alla chiusura di molti di essi (come già avvenuto all'Università di Atene). In un momento di crisi delle finanze pubbliche, determinata dalla permanenza nell'euro e nella UE del nostro paese, il Ministro dell'Università decide di privilegiare il "suo" Ateneo, partecipando da una posizione di forza alla lotta senza quartiere per accaparrarsi le sempre più scarse risorse. Il pretesto è sempre la valorizzazione del "merito", la cui misura sarà a breve affidata ai famigerati test Invalsi.
Questa sfacciata soperchieria, che fa il paio (ma senza risvolti penali) con lo scandaloso nepotismo pratica dai "Saggi" che dovrebbero riscrivere la Costituzione, non solo la dice lunga sulle qualità morali della nostra classe dirigente e accademica, ma conferma una vecchia convinzione di questo blog: la classe dirigente responsabile della crisi etica del paese è la stessa classe dirigente che ci ha portato e ci tiene in euro e UE. Colpisce dunque fuori bersaglio chi, come tanti, è contrario all'uscita da queste organizzazioni in quanto, fuori da esse, l'Italia sarebbe preda del malaffare. (C.M.)

domenica 20 ottobre 2013

Martedì sera allo Zenzero

Martedì 22, alle 20,30, al circolo Zenzero di Genova (via Torti 35) discuterò con Marco Mazzoli (Università di Genova) sul tema "Stiamo uscendo dalla crisi?", nell'ambito del ciclo di incontri "Vogliamo vederci chiaro".
(M.B.)

venerdì 18 ottobre 2013

Un intervento di Giovanni Mazzetti

Avevo discusso alcuni scritti di Giovanni Mazzetti nel mio intervento su "decrescita ed economia". Il prof. Mazzetti, al quale ho segnalato il mio articolo, mi ha inviato alcune note critiche, che pubblico qui di seguito. Lo ringrazio sia per aver voluto scrivere un intervento denso e argomentato, nonostante i suoi numerosi impegni, sia per aver acconsentito alla pubblicazione. Ritengo importante che questo dialogo possa proseguire, e spero di poter rispondere all'intervento del prof. Mazzetti in tempi non troppo lunghi.
(M.B.)



Caro Marino Badiale,
vorrei innanzi tutto sottolineare che personalmente non sono affatto diffidente nei confronti della “teoria della decrescita”;  molto più semplicemente sono in dissenso con i suoi sostenitori.  Vale a dire che la mia esperienza e le mie conoscenze mi impediscono di accettare in tutto o in parte le argomentazioni con le quali quella “teoria” viene proposta.
   Ho molto apprezzato il suo garbato invito a confrontarsi, per il tono equilibrato e argomentato col quale è stato formulato, cosa rara tra i seguaci di quella teoria.  Purtroppo non ho però trovato in esso elementi che potessero far incrinare la mia avversione.  Ma proprio perché lei giustamente sollecita una reciproca comprensione, o almeno un tentativo in quella direzione, cercherò di esporle alcune delle ragioni per le quali sento di non poter convenire con le sue pacate argomentazioni.

mercoledì 16 ottobre 2013

La libertà è libertà di tutti, o non è


Leggo sul Corriere di oggi che la Commissione Giustizia del Senato ha approvato un disegno di legge che rende reato la diffusione delle tesi "negazioniste" sul genocidio ebraico. Trovate qui il testo licenziato per l'aula. Già in passato vi erano stati tentativi in questo senso, respinti per l'opposizione della comunità degli storici. Trovate qui un appello diffuso a suo tempo, in relazione a uno di questi tentativi, e qui invece un mio intervento. Il fatto deprimente di tutta questa vicenda è che veramente c'è poco da dire, e quel poco l'ha già detto benissimo Noam Chomsky, che, parlando delle analoghe leggi in vigore in varie parti d'Europa, commentò anni fa "c'è qualcosa di deprimente e anche di scandaloso nel dover discutere di queste questioni due secoli dopo Voltaire" (su "Le Monde Diplomatique", edizione italiana, settembre 2007). Già. Da più di due secoli, in Occidente, sappiamo che la libertà di opinione è un valore fondante della nostra civiltà, e che "libertà di opinione" vuol dire "libertà di tutte le opinioni". Detto altrimenti, sappiamo che se si cominciano a proibire alcune opinioni, la strada è aperta all'arbitrio e alla repressione di qualsiasi altra opinione. Lo sappiamo, noi. Non so bene quanti siamo rimasti, a saperlo.
(M.B.) 

lunedì 14 ottobre 2013

Questo non è servizio pubblico

Chi ha ancora il coraggio di guardare la tv, e ha il fegato di frequentare Rai 3, ricorderà che circa un mese fa Riccardo Iacona, ideatore della trasmissione Presa Diretta, mise in onda una puntata di vera informazione sulla crisi dei cittadini europei, che illuminava il grande pubblico sulle autentiche responsabilità della crisi, intervistava economisti di valore come Emiliano Brancaccio e Bruno Amoroso, nonché personalità come Hans Olaf Henkel, e raccontava in maniera magistrale le lotte dei portoghesi contro la Troika. Chi scrive ammette di essere trasecolato, davanti a un simile spettacolo. E chi si aspettava di veder affiorare certi concetti su una grande rete nazionale? Chi poteva immaginare una Rai che fa informazione?

Per fortuna Milena Gabanelli ha rimesso le cose in ordine, con la puntata di Report di lunedì 14 ottobre (presto disponibile in rete: consigliata la visione). La giornalista è riuscita agevolemente ad annientare quanto di buono costruito dal suo collega un mese prima. Niente voci "critiche". Piuttosto, le opinioni rassicuranti di economisti come Boeri e Perotti. Dopo averci a lungo intrattenuto sulle inefficienze e le assurdità della Pubblica Amministrazione  e del fisco italiani (che nessuno nega, ovviamente), Report ci conduce in un'inchiesta sui motivi che spingono gli imprenditori a delocalizzare all'estero. Servizio sulla Polonia, con la voce narrante (è bene sottolinearlo) che cerca di porre in una luce favorevole i fatti narrati. Ci viene spiegato che in Polonia fare impresa è possibile, perché l'imposizione fiscale sulle imprese è inesistente, c'è la possibilità di licenziare incondizionatamente e con breve preavviso, non esiste il Trattamento di Fine Rapporto, non sanno cosa sia la tredicesima, e in generale si lavora più a lungo per meno. Stacco poi su come in Polonia i bambini vengano addestrati sin da piccoli ad acquisire la cultura imprenditoriale. Intervista alla locale Coordinatrice del Programma di Apprendimento dell'Imprenditorialità, che ci spiega che fin dalla tenera età i piccoli giocano al "Piccolo Bancomat", e che alle elementari si addestrano al gioco del "Piccolo Ministro delle Finanze", dove ai bambini è dato di decidere quali spese tagliare*.

Proseguendo, la Gabanelli individua nella carenza di produttività il vero guaio italiano, e addita chi parla di uscita dall'euro a ciarlatani che cercano di distrarre dai problemi reali. L'economista Lucrezia Reichlin ci spiega che l'idea di far acquistare i titoli del tesoro dalla propria Banca Centrale è "molto pericolosa", in quanto "toglie incentivi al risanamento dei conti". E perdere la disciplina di bilancio è ancora più pericoloso, perché "creerebbe inflazione", la quale è "una tassa occulta che distrugge i risparmi". Molto meglio, sempre per la Reichlin, che anche l'Italia accetti un piano di "aiuti" dalla BCE, con relativo commissariamento. La voce narrante conferma, e passa a intervistare un giornalista di Repubblica, il quale ci comunica che con l'uscita dall'euro i risparmi degli italiani sarebbero decurtati di un terzo. La voce narrante paragona l'uscita dall'euro a "una patrimoniale sui cittadini italiani di centinaia di miliardi"; "di gran lunga la soluzione più costosa".

Sistemati gli "uscisti", si passa alle soluzioni che si potrebbero adottare per far fronte all'innegabile crisi. La risposta non può che essere una: fare come la Germania. Vengono illustrati in maniera abbastanza chiara gli effetti delle riforme tedesche dei primi anni 2000: aumento della disoccupazione, delle disuguaglianze, perdita di redditi e diritti per i lavoratori. Ma tali scelte vengono ancora poste in una luce favorevole, sottolineando come abbiano avuto luogo in un momento di crescita dell'economia mondiale, quindi nel "tempo giusto". "A quei tempi la Germania è dimagrita, mentre noi siamo ingrassati, e adesso ci supera" dice la voce narrante, soddisfatta. 

Infine, un accenno al Fiscal Compact. Iacona, giustamente, lo indicava come una sciagura. Invece, per gli "esperti" citati dalla Gabanelli, dire che il Fiscal Compact, se rispettato strangolerà l'economia italiana è,senza mezzi termini,"una cavolata"; "con un po' di inflazione e crescita economica il debito si aggiusta da solo". Come a dire, manco ce ne accorgeremo.

I nostri lettori non hanno bisogno che smonti una a una queste bufale. Né che spieghi perché è truffaldino chiamare "Unione" un'organizzazione che ha il solo fine di portare alle estreme conseguenze la concorrenza tra nazioni, cioè tra lavoratori. Sono abbastanza avvezzi al ragiomento economico e a quello politico per farlo da soli. Resta, grande, l'amarezza. Non quella che nasce dalla considerazione (qualunquista) che Gabanelli fa disinformazione a spese nostre; piuttosto, dall'idea che chi detiene un potere così formidabile come quello di dirigere importanti trasmissioni nazionali inocula, ad arte, veleno nelle menti dei cittadini. Se lo facesse da reti private non cambierebbe nulla. Esiste un etica della responsabilità, anche per i protagonisti dei Mass Media. E Gabanelli, mi si passi il francesismo, se ne fotte. (C.M.)





*Lo giuro sulla mia testa. Andate a rivedervi la puntata.

domenica 13 ottobre 2013

Un cimitero europeo

Segnaliamo un ottimo intervento di Galli della Loggia sul Corriere. A volte il mainstream si rivela in grado di esprimere riflessioni interessanti. Il caso di Maria Pia Lorenzetti, che viene qui trattato, è un triste epifenomeno dell'incredibile degrado raggiunto dalla nostra classe politica (e accademica, e imprenditoriale). Un fenomeno che, con solare evidenza, non è addebitabile ai soli berlusconiani, o al solo berlusconismo. Vale la pena di notare come questi episodi facciano giustizia di uno dei più diffusi luoghi comuni di questo paese: l'esigenza dell'Europa come freno ai fenomeni di incivilità e corrutela, come salvaguardia degli italiani da sé stessi. Una versione etica e moraleggiante del Vincolo Esterno. Ebbene, come avevamo già evidenziato, l'argomento non sta in piedi, perché la classe politica che è all'origine della corruzione endemica che ci pervade è la stessa classe che in questi anni ha dato ogni sostegno politico al progetto europeo. L'euro e la UE in Italia stanno in piedi grazie ai voti delle Lorenzetti, e non sembrano davvero in grado di "neutralizzare" queste ultime. Galli della Loggia definisce l'Italia un "cimitero delle illusioni". Un cimitero che non perde la sua fede europeista.

sabato 12 ottobre 2013

Lettera aperta agli organizzatori della manifestazione del 12 ottobre

Oggi a Roma avrà luogo la manifestazione in difesa della Costituzione, promossa da Rodotà, Landini e Zagrebelsky. Bottega Partigiana, organizzazione di cui abbiamo già ripreso il Manifesto, ha pensato di rivolgere un appello a queste personalità, affinché alla difesa (sacrosanta) della Carta si accompagnino chiare prese di posizione sulla crisi economia che sta strangolando il nostro paese. In particolare, si richiede che venga reintrodotta l'indicizzazione dei salari, provvedimento che avrebbe, tra gli altri, il merito di sdrammatizzare il confronto sui diversi modi di uscire dall'euro. Ecco il link originale. Buona Lettura.


Cari organizzatori della manifestazione del 12 ottobre,
è con entusiasmo che accogliamo il vostro appello per scendere in piazza a difesa della Costituzione. Ci troviamo ad un passaggio decisivo. Sia la tenuta sociale del Paese, sia la sopravvivenza della legalità repubblicana, sono oggi seriamente minacciate. E solo salvando l'una c'è speranza di conservare l'altra. 

La sorte delle istituzioni democratiche è infatti legata a doppio filo a quella dei lavoratori e dei cittadini. Oggi la crisi divora le nostre vite. È giunta l'ora che da chi si propone il nobile compito di difendere la nostra Carta fondamentale giungano soluzioni a questa crisi spaventosa. 
È evidente che la prima origine della crisi che attraversiamo sta nelle politiche di austerità imposte da questa Europa. Queste misure non riducono solo i diritti dei lavoratori e dei cittadini e le probabilità di sopravvivenza delle piccole imprese, ma riducono il PIL, mancando perciò persino l'obiettivo di aggiustare i conti pubblici. Tutte queste misure sono state consigliate, architettate o dichiarate indispensabili dalle attuali istituzioni europee. Esse deprimono la nostra domanda interna, mettendo a repentaglio la sopravvivenza delle imprese che producono per quella domanda; ma incidono anche sulla domanda estera, perché sono applicate in maniera quasi uniforme in tutta Europa. Venendo meno sia il mercato interno, sia i mercati di sbocco esteri, le imprese muoiono, e i lavoratori si ritrovano nella più nera difficoltà.

Non c'è alcun dubbio che soltanto un rinnovato ruolo dello Stato può porre rimedio a questa drammatica situazione. Il privato da solo non ce la fa. Un rinnovato piano di investimenti pubblici, così come l'inaugurazione di una politica economica espansiva e redistributiva, si rivelano così indispensabili alla salvezza economica del nostro paese.
Tuttavia, qualsiasi manovra di questo tipo cozzerà inevitabilmente con i vincoli dei Trattati europei. 
A questo punto solo due strade si pongono di fronte a noi: o il superamento di quei vincoli, nelle forme alternative della loro violazione unilaterale o della loro concertata modifica; oppure l'abisso della recessione infinita. 

Non ci possono essere dubbi, dovremo imboccare la prima strada. Ma essa prima o poi si dovrà misurare con l'eventualità del crollo dell'euro. Già oggi autorevoli economisti ci mettono in guardia, avvertendo che quel crollo è tutt'altro che scongiurato, e che le ragioni che hanno determinato la crisi dell'euro sono ancora lì, intatte. Quel crollo sarebbe un portato inevitabile della nostra violazione unilaterale dei Trattati. A quel crollo, infine, noi potremmo venire costretti. Senza l'Italia 
infatti non ci può essere l'euro, e l'uscita dall'euro dell'Italia è oggi una possibilità concreta. Essa potrà essere determinata dalle tormente speculative che abitualmente, ormai, si abbattono sulle economie europee; oppure potrebbe essere l'extrema ratio cui potrebbe dover ricorrere un Governo votato alla salvezza dell'economia italiana. Una controparte europea sorda al grido di dolore che proviene dai paesi del sud Europa potrebbe spingerci a quella misura estrema. 

È necessario introiettare il principio che per rimanere nell'euro non siamo disposti a pagare qualsiasi prezzo. Già molto gli europei hanno dovuto pagare, in termini di tagli al welfare, peggioramento delle condizioni di vita, azzeramento dei diritti dei lavoratori. Tutto in nome della stabilità della moneta unica. 

È ora che gridiamo: no, noi non siamo disposti a morire per Maastricht! 

L'attaccamento alla moneta unica a qualsiasi prezzo non è poi soltanto un'aberrazione in sé; è anche un fattore di annullamento del nostro peso negoziale in Europa. Sapendo che avremmo pagati qualsiasi prezzo pur di rimanere nell'euro, le nostri controparti hanno finito per prenderci in parola, in questi anni! Bisogna porre assolutamente porre freno a questa perversa dinamica.

Essere disposti financo a porre fine all'esperimento monetario europeo pur di difendere i diritti dei cittadini e dei lavoratori implica però un soprassalto di responsabilità. L'uscita dall'euro, sia che avvenga come un accidente frutto della tempesta speculativa, sia che la si debba utilizzare come giusto strumento di pressione in sede europea, deve essere presidiata da alcune misure di salvaguardia. 

Diverse sono le minacce insite in questo evento; e anche se forse non vanno esagerate, sarebbe irresponsabile sottovalutarle. È necessario che il Governo adotti fin d'ora un pacchetto di misure che fungano da “paracadute” dell'economia italiana in caso di uscita. Esse consistono in  regole che consentano, in condizioni di emergenza, al Governo di limitare la fuga di capitali; di impedire l'acquisizione a basso prezzo di imprese nazionali; di garantire comunque il servizio del debito, magari attraverso l'acquisto dei titoli pubblici da parte della nostra Banca Centrale. Ma la più importante misura in questo senso è senz'altro l'indicizzazione dei salari. 

Abolita in maniera troppo avventata una generazione fa, questa misura sarebbe in grado di prevenire il più grande rischio connesso al crollo dell'euro, ossia le ventate inflazionistiche. Noi non possiamo prevedere quanta inflazione deriverà dall'inevitabile svalutazione della valuta che sostituirà l'euro. 
Ma è molto probabile che un tale fenomeno avvenga, con effetti deleteri sulle condizioni di vita e sui risparmi delle famiglie, in particolare dei lavoratori dipendenti. Non possiamo farci cogliere impreparati. Inoltre, non è pensabile di agitare la minaccia dell'uscita dall'euro in sede europea per ottenere rapporti negoziali più equilibrati, se è diffusa la consapevolezza che l'uscita sarebbe dannosa per chi la promuove. L'indicizzazione sarebbe proprio quel “paracadute” di cui hanno bisogno lavoratori italiani. Essa, applicata fin da subito (senza aspettare che avvenga il crollo!), 
consentirebbe inoltre di alleviare le condizioni di vita di chi lavora. E dato che ci sarebbe maggiore potere negoziale in Europa, fungerebbe da premessa per le altre misure utili a dare un impiego a chi non ce l'ha. Essa inoltre non costerebbe nemmeno moltissimo, perché anche ammesso che l'indicizzazione crei inflazione (cosa tutta da dimostrare), in un contesto di deflazione come il nostro comporterebbe aggiustamenti dei salari minimi. Il vero potenziale della misura si dispiegherebbe invece in caso di uscita o di crollo dell'euro.

Ecco perché vi chiediamo di farvi portatori presso chi ci governa di queste misure, in particolare dell'indicizzazione. Esse devono adottarsi subito, senza aspettare l'emergenza. Dalla difesa della Costituzione può sicuramente nascere un grande movimento politico che porti il paese fuori dalle secche dove è arenato. Ma per che ciò avvenga, è necessario dimostrare che dall'area dove dovrebbe nascere tale movimento possono giungere soluzioni responsabili per il bene dell'intera società. 
Siamo convinti che vi dimostrerete all'altezza di questo grande compito. 

giovedì 10 ottobre 2013

Quem vult perdere, deus amentat

Mentre gli intellettuali di sinistra scrutano l'orizzonte in attesa delle lotte sociali europee che possano finalmente rappresentate la base della nuova Europa, quella buona, un sondaggio in Francia dice che il Front National di Marine Le Pen è il primo partito. Non era difficile da prevedere, non è difficile da commentare: Keynesblog dice su questo parole di semplice buon senso, quel buon senso che pare però inattingibile agli intellettuali di sinistra di cui s'è detto. Pensando al mondo della sinistra più o meno radicale che da anni, a chi come noi pone il problema dell'uscita da euro e UE, risponde parlando d'altro, verrebbe solo da aggiungere "quando verranno a prendervi con i forconi, non venite a lamentarvi con noi". Ma poiché non vogliamo essere così truci, ci limitiamo a un classico "Dio acceca colui che vuol perdere".
(M.B.)

mercoledì 9 ottobre 2013

Miracoli del modello tedesco

Segnaliamo una breve quanto efficace inchiesta del Sole24Ore sulle inquietanti contraddizioni contenute nel c.d. "modello tedesco". Certo, fa un po' impressione leggere nell'edizione online del più importante quotidiano economico nazionale pezzi che rieccheggiano quel che scriviamo su questo blog...

venerdì 4 ottobre 2013

Luciano Gallino è un demagogo o un disfattista?

L'illustre sociologo Luciano Gallino ci spiega che le cose, in Europa, vanno molto male, e che l'unico modo per farle andare bene è riformare i Trattati UE.
Chi scrive è convinto che l'unica speranza di preservare quanto di buono e civile ci è rimasto è lo smantellamento dell'intero complesso giuridico della UE (non solo dell'euro), da sostituire, nelle forme e nei modi praticabili, con uno spazio di vera cooperazione tra Stati, di eguaglianza tra le nazioni, di democrazia per i cittadini. L'attuale UE è la negazione di questi tre punti; Gallino lo sa, e infatti lo spiega nella prima parte del suo articolo. In questo senso l'idea di "riformare" i Trattati non è malvagia: il vero rivoluzionario sa che i cambiamenti sono sempre graduali, e che a volte il metodo vale più del merito; anche riforme non eclatanti, ma che vanno nella giusta direzione, potrebbero essere utili per scalfire il dogma dell'irreversibilità degli attuali Trattati. Nello specifico, le riforme proposte da Gallino non sono particolarmente esaltanti, ma non è questo il cuore della mia critica. Il punto è, ancora una volta, di metodo.

Luciano Gallino come pensa, esattamente, di arrivare alla modifica dei Trattati?

Indicare degli obiettivi politici senza specificare qual è il percorso per arrivarvi è l'essenza di ogni demagogia. Gallino, putroppo, non esce da questo schema. Parla di modifica dei Trattati, ma non indica uno straccio di strategia.

E allora, da dove cominciare?

Che nessuno parli di movimentipopolariparlamento europeocambiamentidalbasso. Per cambiare i Trattati è necessaria la maggioranza dei voti in Consiglio Europeo. Punto. E questo solo per cominciare il processo.Perciò, quando accenniamo alla modifica dei Trattati, e se vogliamo mantenerci sul piano del realismo, dobbiamo sempre assumere il punto di vista del rappresentante italiano a Bruxelles. Immaginiamo ora che il nostro rappresentante, convinto con noi che bisogna modificare i Trattati, cominci a negoziare con la nostra controparte inevitabile: la Germania di Angela Merkel. È facile immaginare la risposta: nein!

Il fatto che la Germania sia catafratta attorno alla difesa di un Europa neoliberista, antidemocratica e mercantilista è ovviamente il vero ostacolo a qualsiasi percorso di riforma. Gallino, pur nel suo atteggiamento demagogico, ha ben presente questo punto, e infatti scrive, a proposito della sua stessa proposta:

So bene che a questo punto chi legge sta pensando che tutto ciò è impossibile. Stante la situazione politica attuale, nel nostro paese come in altri e specialmente in Germania, non ho dubbi al riguardo. Ma forse si potrebbe cominciare a discuterne.
L'esito naturale di ogni vuoto di strategia è il disfattismo. Di fronte alla cupezza del quadro politico, Gallino si arrende. Ed è naturale, perché egli si è negato l'unico strumento in grado di arrivare, in termini realistici, a una vera riforma dei Trattati UE.

Questo strumento è la disponibilità, da parte dell'Italia come degli altri paesi del sud Europa, a denunciare unilateralmente i Trattati UE.

Il vero errore strategico delle sinistre e delle classi intellettuali dei nostri paesi è proprio l'aver posto, quale postulato del proprio discorso politico, l'indisponibilità a qualsiasi rottura unilaterale con euro e UE. Ciò ha avuto un effetto concreto nella nostra capacità negoziale presso le sedi europee: controparte, sapendo che avremmo pagato qualsiasi prezzo pur di rimanere nell'euro, ci ha fatto pagare prezzi enormi. È abbastanza intuitivo. La prima cosa da evitare, in qualsiasi trattativa, è lasciar intendere a controparte che noi non siamo comunque disposti a rinunciare alla trattativa stessa. Noi, italiani, spagnoli, greci, abbiamo fatto proprio quest'errore: abbiamo mostrato alla Germania che comunque non eravamo disposti a rompere con l'impianto comunitario, qualunque prezzo ci avessero imposto. E infatti...

Questa responsabilità ricade per intero sugli intellettuali di sinistra. A loro spettava di dire, forte e chiaro, che la difesa del welfare e della dignità nazionale erano  punti non negoziabili. Invece hanno scelto di dichiarare non negoziabile l'euro. E noi paghiamo il conto. 

Concludendo: cambiare i Trattati può essere una buona idea, ma per arrivarci bisogna dotarsi di una strategia adeguata. Tale strategia deve essere basata sulla disponibilità e preparazione ad una rottura unilaterale dei Trattati. In caso contrario, non otterremo nulla da alcun negoziato, e la Germania continuerà a essere più eguale degli altri. Chi parla di cambiare i Trattati, senza essere disposto, neppure come extrema ratio, a rompere con essi, parte dalla demagogia per poi naufragare nel disfattismo. (C.M.)

giovedì 3 ottobre 2013

Sic Transit Gloria Silvii

Ieri Berlusconi ha rinunciato, probabilmente per sempre, a giocare un ruolo rilevante nell'ambito della scena politica italiana ed europea. A B. era rimasta una sola maschera in grado di mantenerlo sul palco: quella del vendicatore dei piccoli capitalisti italiani, quella del nemico e possibile affossatore dell'euro. L'ha lasciata cadere, ed è scivolato dietro le quinte.
Il Governo di Letta-nipote rimane al centro della scena, invitto. Aveva ragione Giorgio Cremaschi a mettere in guardia dal definirlo un governicchio; si tratta invece della cupola (o delle sezione italiana, dipende dai punti di vista) di un sistema di potere tentacolare e fortissimo. Talmente forte da poter fungere da polo magnetico per quelli che fino a ieri erano servi e sguatteri di B., i vari Alfano Cicchitto Schifani ecc.
La dirigenza del partito di B. si è dunque schierata contro quest'ultimo, posizionandosi sotto le ali della Trojka. B., ottenuta probabilmente una qualche contropartita, ha accettato il proprio pensionamento. Chi sperava, più o meno velatamente, che egli desse vita a un Fronte Nazionale Italiano è servito. Certo, c'è sempre tempo per l'estrema destra di compattarsi attorno al tema dell'uscita dall'euro. La società italiana è una fucina costante di fascisti. Ma l'Alba Radiosa italiana dovrà aspettare ancora qualche mese, o qualche anno.
Il potenziale anti-euro di B. è la migliore chiave di lettura della storia politica di questi anni. L'establishment di questo paese, quello che ha il suo pilastro nel centro-sinistra e che da vent'anni esprime i Presidenti della Repubblica, ha sempre cercato il compromesso (l'inciucio) con B., cercando di porre la tremenda forza di quest'ultimo al servizio dell'Europa, e non contro di essa. Lo scambio ha dato i suoi frutti: B. non ha mai fatto tremare, come pur avrebbe potuto, l'impalcatura comunitaria, e la controparte non ha fatto in modo, come pure avrebbe potuto, di contrastare i suoi interessi e la sua smania di impunità.
Tale patto tra gentiluomini non ha escluso che, a un certo punto, lo stesso establishment cercasse di far fuori B. I vertici della Repubblica e delle istituzioni europee hanno cercato dunque di arrivare a un preciso risultato: liberare la destra italiana dal controllo di B. Non a caso la storia recente di questo paese può essere descritta come una continua battaglia per il dominio del campo destro dello scenario politico. Anni fa ci provarono con Follini e Casini. Poi, più apertamente, con Fini. Infine inviarono Monti a fondare la sezione italiana del Partito Popolare Europeo, scalzando il dominio berlusconiano; ma alle elezioni del febbraio 2013 B. prese il triplo dei voti dell'uomo della Trojka.
Ironia della sorte, Alfano è riuscito dove tutti gli altri fallirono. L'assassino, come sempre, è il maggiordomo. 
Ora che B. è stato addomesticato, dobbiamo prepararci ad un attacco concentrico contro quanto di buono e civile ci rimane. PdL e PD uniti, e più che mai forti nella loro unione, coperti sul fianco destro aggrediranno quello sinistro. L'obiettivo, oltre al proseguimento della macelleria sociale imposta da Bruxelles, sono la Costituzione e l'indipendenza della Magistratura. Se lo ricordino i vari Landini, Rodotà, Zagrebelsky. Ora il collante dell'antiberlusconismo si è esaurito. B. non è più eversore; lo sarà Letta. Saranno le personalità citate all'altezza del momento? Riusciranno a rompere ogni legame col centro-sinistra che vuole rovinare la Costituzione? (C.M.)

mercoledì 2 ottobre 2013

Primo incontro ARS Liguria

Sabato prossimo (5 ottobre), alle ore 18, a Genova, presso la sede del CUB trasporti, in via Porta d'Archi 3/1, si terrà il primo incontro ligure dell'ARS (Associazione Riconquistare la Sovranità). Invito tutte le persone interessate a partecipare.
(M.B.)