venerdì 30 maggio 2014

Un articolo su "Affari Internazionali"

Tempo fa mi è stato chiesto un articolo sulla questione dell'euro da parte dell'Istituto Affari Internazionali. E' stato pubblicato nella loro rivista online, "Affari Internazionali", e lo potete leggere qui:


http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=2636


Lo spazio  a mia disposizione era piuttosto ristretto, quindi ho potuto dire solo alcune cose fondamentali, credo ben note ai lettori di questo blog.
(M.B.)

martedì 27 maggio 2014

It's All About Italy

L'ufficio studi della Jp Morgan, di cui abbiamo già potuto apprezzare le analisi, è convinto che la vittoria di Matteo Renzi renda l'Italia più forte a livello europeo, e più stabile l'Unione nel suo complesso. Cerchiamo di capire perché.

Occorre sottolineare che il PD di Renzi è stato il soggetto politico più votato in Europa, in termini assoluti (11 milioni e centomila suffragi contro i 10 milioni e trecentomila della portaerei di Angela Merkel, la CDU-CSU); in termini percentuali è superato solo dal Fidesz di Viktor Orbàn, dominatore incontrastato dell'Ungheria (51%). Ma Fidesz non è certo quel che si definirebbe una forza europeista; invece il PD di Renzi lo è, entusiasticamente. Questo partito, pur sommando due caratteristiche che in questi anni non hanno certo giovato dal punto di vista elettorale, e cioè l'europeismo e il trovarsi al governo, stravince nelle urne, in assoluta controtendenza rispetto allo scenario europeo. 

Preme rammentarlo: le forze politiche "sistemiche", in primo luogo quelle riconducibili alle famiglie del PSE e del PPE, sono naufragate in molti importanti contesti nazionali. Esse si trovano sotto shock, se non apertamente in rotta, in Grecia, in Francia, nel Regno Unito, in Spagna. E ovunque raccolgono consenso liste, se non anti-euro, perlomeno eurocritiche. 

Apparentemente si è trattato di una generale debacle dei partiti socialisti- e il desolante risultato elettorale del PS di Hollande sembra eloquente in tal senso. Eppure, ad un occhio più attento, queste giornate di fine maggio potrebbero rivelarsi una grande vittoria della socialdemocrazia europea e del suo programma politico.  
È abbastanza evidente che, in questi mesi, si sia creato un asse tra la socialdemocrazia tedesca e il nuovo PD renziano. Il 27 febbraio di quest'anno, cinque giorni dopo la nomina a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ricevette in visita ufficiale il Presidente del Parlamento Europeo, nonché leader de facto della SPD, Martin Schulz. I due si sarebbero reincontrati il primo marzo, in occasione del Congresso del PSE, celebratosi a Roma. Per quanto possa apparire paradossale, si deve a Renzi, un democristiano, l'ingresso del PD nella compagine dei socialisti europei.
Entrambi i soggetti avevano e hanno una reciproca convenienza a collaborare. Martin Schulz contava molto sul successo elettorale del PD per ottenere un buon risultato del PSE all'Europarlamento; a Renzi serviva un alleato a Berlino per assicurarsi che la Germania avrebbe dato il proprio consenso ad un allentamento dei parametri europei. Tutti e due condividevano il medesimo progetto politico: salvare l'euro e l'Unione Europea mediante un progressivo smantellamento dell'austerità sul piano continentale, e proseguire lungo il percorso dell'accentramento di poteri e competenze presso le istituzioni europee (essenzialmente Commissione e BCE).
E ora hanno vinto. 
Lo scenario complessivo è già stato descritto qui, qui e anche qui

Già nel corso del 2011-2012 il ceto politico-tecnocratico italiano, con Draghi e Monti, riuscì nell'impresa di salvare l'eurozona dalla dissoluzione. Facendo sudare sangue agli italiani, questo ceto riuscì a imporre una propria leadership nello scenario europeo. L'esito delle elezioni del 2013 mandò all'aria molti piani, e per circa un anno l'Italia non ha preso iniziative importanti in ambito UE. Dopo le elezioni europee, considerando che Londra ha già un piede fuori dall'Unione, e Hollande li ha entrambi nell'immondezzaio della storia, il timone europeo torna nelle mani degli italiani, ovviamente col consenso tedesco: c'è già chi parla di nuovo asse Roma-Berlino. Il presidente della BCE già promette una svolta monetaria espansiva e anti-deflazione. Il rilancio dell'Unione e della moneta unica sarà suggellato, e non solo a livello simbolico, dal semestre di presidenza italiano.

Il ceto politico italiano è intimamente convinto di non poter esercitare alcuna influenza, a livello globale, al di fuori del perimetro del progetto europeista. Questa è la grande differenza con gli establishment degli altri paesi dell'Europa Occidentale. Questa convinzione è condivisa dalla maggioranza (sia pur relativa) degli italiani, che hanno votato di conseguenza. Del resto le idee dominanti sono quelle della classe dominante. (C.M.)


Appendice 

Il 15 maggio, chiedendoci perché, secondo alcuni sondaggi, il consenso degli italiani alla UE fosse crollato, scrivevamo:

 è molto probabile il disgusto per la classe politica, che in Italia ha raggiunto picchi inusitati, abbia trascinato con sé anche l'atteggiamento nei confronti dell'Europa. (...)

Negli altri paesi il discredito per la classe politica non ha ancora superato i livelli di guardia: il sistema ancora "tiene". Conseguentemente, "tengono", presso l'opinione pubblica, tutte le componenti del blocco dominante, istitutuzioni europee incluse. 

Va da sé che si tratta di mere ipotesi. Tuttavia, se si dimostrassero veritiere, lo scenario che si aprirebbe davanti a noi sarebbe molto interessante; vorrebbe dire che, attualmente, il vero punto debole dell'Unione Europea è il ceto politico italiano, che esso è l'unica autentica falla che sembra essersi aperta in quella che altrimenti appare come una fortissima corazzata.

Le ipotesi sono formulate per l'eventualità che vengano smentite dai fatti. I fatti ci dicono che la corazzata europea trova in Italia il proprio bacino di carenaggio

Tuttavia, ritengo che l'analisi appena richiamata avesse un suo fondo di ragionevolezza: in nessun paese europeo il ceto politico nel suo complesso soffre di una particolare condizione di debolezza che invece registriamo in Italia, ossia la dipendenza strutturale di quel ceto dalle sorti di una sola persona: Matteo Renzi. Se Renzi fosse risultato sconfitto alle urne il ceto politico sarebbe rimasto decapitato, diffondendo il caos nelle file della classe politica, minando alle fondamenta il complesso dell'euro. Fino a poche ore fa era aperta, in Italia, una finestra d'opportunità per sbarazzarsi del ceto politico; ora questa finestra si è bruscamente chiusa.
L'Europa si trovava dunque ad un bivio, il 25 maggio: in Italia avrebbe trovato il proprio rilancio o la propria crisi. Sappiamo come è andata.

lunedì 26 maggio 2014

mala tempora...

Purtroppo il risultato delle elezioni è netto: l'astensione supera il 40%, fra chi vota il PD stravince. Guardando ai voti assoluti, e comparando gli attuali con quelli del 2013, appare evidente che Renzi ha conquistato molta parte degli ex elettori del M5S. A questo punto a trarne immediatamente le conseguenze devono essere Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. Aprano un veloce percorso di autoesclusione dalla vita politica, e di liberazione del M5S dalla loro proprietà, lasciando nascere una forza politica realmente democratica, partecipativa e capace di assumere posizioni chiare e nette sulle questioni più importanti, a partire dal rifiuto dell'euro e dell'Unione Europea.
(I curatori del blog)

giovedì 22 maggio 2014

Davide Bono Presidente del Piemonte

di Fabrizio Tringali
Domenica non si voterà solo per il rinnovo del Parlamento Europeo, ma anche per alcuni comuni e per i consigli regionali di Abruzzo e Piemonte.
Quest'ultima votazione non è politicamente meno importante di quella che coinvolge l'intero territorio nazionale. Tutti hanno capito che, in questo momento, la vera sfida è quella fra PD e M5S.
Non che non vi siano altri aspetti di una certa importanza (per esempio un risultato negativo dei partiti minori della maggioranza potrebbe portare a un collasso del governo), ma ciò che davvero conta è pesare il consenso reale che il PD riesce a raccogliere in questo momento, e poi confrontarlo con quello del Movimento 5 Stelle, unico soggetto politico potenzialmente in grado di buttarne all'aria i piani.
Il risultato delle europee sarà determinante, ma anche quello del Piemonte ci dirà parecchie cose.
Chiamparino è senza dubbio un candidato forte, e soprattutto è un politico schietto. Le sue posizioni sui tempi principali sono chiare. E' assolutamente favorevole alla TAV, è totalmente dalla parte di Marchionne.

Questo ovviamente non impedisce a SEL di sostenerlo. Magari qualcuno ricorderà che, sulla scorta della vicenda FIAT, alle scorse elezioni politiche la segreteria nazionale della FIOM ha infilato il proprio responsabile del settore auto nelle liste vendoliane, portandolo in Parlamento.
E chi sostiene egli oggi? Ovvio. Anche lui scondinzola al candidato PD che stende tappeti rossi ove passa Marchionne, rifiutandosi perfino di chiedere le primarie e sfidarlo, con la poco originale scusa che il nemico da battere è la destra (non certo Chiamparino che sta con la TAV e Marchionne...).

Il Piemonte è quindi la regione dove, ancora più che altrove, il ceto politico mostra con totale chiarezza che le politiche reali (che vinca il centro, la destra o la sinistra) possono seguire una sola direzione: distruzione del territorio, delle condizioni di lavoro, della vita della stragrande maggioranza della popolazione.
E lo fa, appunto, con la schiettezza di Chiamparino, senza tergiversare o annacquare i messaggi.

E' chiaro quindi che misurare la forza del M5S in questo contesto è di fondamentale importanza. Il M5S ha ottenuto qui ottimi risultati un anno fa, ed anche le scorse regionali erano andate bene. In consiglio erano entrati in due, fra cui Davide Bono, l'attuale candidato alla presidenza della giunta.
Davide è stato fra i primi militanti del M5S ad affrontare temi relativi alle relazioni fra economia e democrazia (non a caso propone l'adozione di una moneta complementare), si è impegnato a fondo in moltissime battaglie ed ha acquisito l'esperienza istituzionale necessaria per ricoprire anche incarichi di governo.
La sua vittoria non avrebbe solo l'effetto, importantissimo, di liberare i cittadini piemontesi dalle grinfie dell'intreccio politica-affari che governa da decenni, ma costituirebbe un primo, fondamentale, passo verso la costruzione di una reale alternativa di governo.
In bocca al lupo Davide!

P.s. Si può sostenere Davide votandolo (ma bisogna risiedere in Piemonte), ma anche versando qualche euro per la campagna elettorale, e questo possiamo farlo tutti, a questo link: http://www.kapipal.com/02ad3c6743634427b7bedb108f42418d





lunedì 19 maggio 2014

Ancora sul ceto politico

Continuo il discorso sul ceto politico, iniziato in un paio di post di qualche tempo fa (questo e questo) che avevano suscitato un po' di dibattito fra i nostri lettori. Poiché alcuni passaggi di quei post erano forse un po' stringati, provo adesso ad argomentare le mie tesi in modo più disteso, cercando di inserirle nelle riflessioni che vado facendo da tempo.
Tempo addietro, in una serie di lavori scritti assieme a Massimo Bontempelli, (per esempio questo e questo) avevamo introdotto la nozione di “capitalismo assoluto”, con la quale cercavamo di esprimere quello che ci sembrava uno degli aspetti più significativi dell'attuale organizzazione sociale ed economica, il fatto cioè che negli ultimi decenni la logica capitalistica del profitto si è estesa all'intero ambito sociale. Riporto un passaggio tratto da “La Sinistra rivelata”, che sintetizza questi concetti:


“Si tratta della completa pervasività sociale del capitalismo storico (…) ogni aspetto della società umana, compresi i corpi biologici degli individui e i caratteri della loro personalità, viene sussunto sotto il capitale come materia della produzione capitalistica (…). Chiamiamo capitalismo assoluto il capitalismo storico che è penetrato in ogni poro e in ogni profondità della vita umana associata. Esso è assoluto perché la sua logica di funzionamento regge completamente ogni ambito della vita, senza più lasciare alcuna autonomia di scopi e di regole ad altre istituzioni. L'azienda, cioè l'istituzione che promuove la produzione e la circolazione della merci in funzione del profitto, diventa allora non più soltanto la cellula del sistema economico, ma l'alfa e l'omega della società, perché la società è diventata una società di mercato, in cui ogni bene pubblico è stato convertito in bene privato, e ogni bene privato in merce. Di conseguenza ogni istituzione viene concepita come azienda, persino l'ospedale, persino la scuola, e persino l'intero paese, che non è più nazione, ma azienda, l' “azienda-Italia”.
(M.Badiale-M.Bontempelli, La sinistra rivelata, Massari editore, pagg.171-172)”

sabato 17 maggio 2014

Correva l'anno 1978...


Probabilmente molti nostri lettori lo conoscono già, comunque segnaliamo l'articolo di Marco Palombi sul “Fatto quotidiano” di mercoledì 14, dedicato alle discussioni interne al PCI relative all'ingresso dell'Italia nello SME, nel 1978. Di queste discussioni aveva parlato Tringali tempo fa, mostrando come fosse allora del tutto chiaro, al gruppo dirigente del partito, che la rigidità del cambio fra Italia e Germania rappresentava uno strumento di attacco ai ceti subalterni. Nel post di Tringali sopra citato si era fatto riferimento a ciò che era a nostra conoscenza, cioè i testi dei dibattiti parlamentari. La cosa interessante dell'articolo di Palombi è che fa riferimento ai verbali delle discussioni interne alla Direzione del PCI, verbali conservati all'Istituto Gramsci. In queste discussioni le cose venivano dette, ovviamente, in maniera più netta rispetto ai discorsi parlamentari. Per esempio, secondo l'articolo di Palombi, Luciano Barca, all'epoca uno dei più noti fra gli economisti del PCI, e padre dell'ex ministro Fabrizio, sintetizzò la questione nel modo seguente: “Europa o non Europa questa resta la mascheratura di una politica di deflazione e di recessione anti operaia”. Era tutto chiaro, trentasei anni fa.
(M.B.)

giovedì 15 maggio 2014

Il tracollo

Segnaliamo i risultati di un importante sondaggio della Pew Research. È una ricerca sul rapporto tra i cittadini europei e le istituzioni comunitari, nonché con alcuni temi di interesse generale. Alcuni dati non soprendono: oltre due terzi dei cittadini UE intervistati critica l'Unione in quanto impermeabile alle istanze democratiche, e ha scarsa fiducia nel parlamento europeo. Altri sono più inaspettati: si scopre che l'appartenenza ideologica, nel determinare il giudizio sull'Europa, non gioca lo stesso ruolo in tutti i paesi. Da noi, come è noto, chi è di sinistra mediamente riserva un giudizio migliore di chi è di destra; pare che sia così anche in Germania e nel Regno Unito. Le posizioni sono meno divaricate in Francia; ma in alcuni paesi, tra cui Spagna e Grecia, il sostegno di destra all'Unione è molto più forte di quello che viene da sinistra.

Molti dati interessanti, dunque. Ma ciò su cui vorrei richiamare l'attenzione è questa immagine. 


Non a caso il titolo della ricerca può essere tradotto come "il rimbalzo del consenso alla UE".  Vediamo che, dopo gli anni horribiles  2012-2013, tale consenso tenda a tornare a livelli "normali" tra il 2013 e il 2014. La crescita media è del 6%. Notiamo come si verifichi una vera e propria rinascita dell'europeismo in Francia, e come persino nel Regno Unito il consenso alla UE superi la soglia psicologica del 50%; cresce persino in Grecia e Spagna.
Qual è l'unico paese in controtendenza?
Già.
Diamo per scontato, per amore di ragionamento, che questi dati corrispondano a qualcosa di autentico. Sinceramente non riesco a immaginare cosa possa aver generato un aumento dei favori verso le istituzioni comunitarie in Francia e in Regno Unito. Il tracollo che si è verificato in Italia è invece più plausibile, in teoria: in pratica è sorprendente, perché è in controtendenza con i dati degli altri paesi, e soprattutto con quelli riferibili a nazioni che hanno sofferto la crisi più di noi, ossia Grecie e Spagna. 
Si possono fare varie ipotesi. In primo luogo è lecito supporre che il malcontento italiano sia dovuto alle scarse performance dell'economia nazionale, rispetto ai "miglioramenti" che vivono gli altri PIGS. C'è anche l'ipotesi Via Crucis: dato che ci troviamo alcune stazioni indietro rispetto al percorso di martirio intrapreso da paesi come la Grecia, stiamo vivendo oggi ciò che loro hanno vissuto tra il 2011 e il 2012; e mentre loro provano un relativo sollievo al termine della tortura, noi ancora non riusciamo a vederne la fine. 
Può darsi. Ma proviamo a prendere in considerazione altri dati.

Se si lascia il terreno economico per spostarsi su quello prettamente politico, ciò che distingue l'Italia da TUTTI gli altri paesi europei è la presenza di una forza come il M5S. Non esiste nulla di paragonabile in nessun altro contesto nazionale. Ora, il tratto pregnante dei 5 stelle non è costituito tanto dal profilo sostanziale dei contenuti programmatici: dopotutto non si tratta di proposte così dissimili da quelle, che so, dei Verdi. Ciò che caratterizza questo Movimento è un dato di ordine formale: la sua proposta fondamentale è la riforma della democrazia rappresentativa mediante l'abolizione del ceto politico.Quel che viene avanzata dunque è un'ipotesi di diversa selezione della classe dirigente, prima che la soluzione a determinati problemi pratici.
Lasciamo da parte il problema se il Movimento abbia qualche possibilità di realizzare tale programma, e se davvero incarni con coerenza i profili di una vera democrazia. Resta il fatto che i 5 stelle hanno avuto un grande successo. Tale successo non è stato determinato tanto da meriti propri, quanto dai demeriti del nostro orrendo ceto politico. È la rivolta contro questo ceto che caratterizza e distingue la politica italiana sulla scena europea.
E qui veniamo al punto: è molto probabile il disgusto per la classe politica, che in Italia ha raggiunto picchi inusitati, abbia trascinato con sé anche l'atteggiamento nei confronti dell'Europa. Gli italiani, giustamente, percepiscono come facenti parte di uno medesimo blocco di potere sia le istituzioni europee, sia il ceto politico; e del resto è proprio il ceto politico che ci ha messo alla mercé delle istituzioni europee  (come argomentato qui e qui). 
Negli altri paesi il discredito per la classe politica non ha ancora superato i livelli di guardia: il sistema ancora "tiene". Conseguentemente, "tengono", presso l'opinione pubblica, tutte le componenti del blocco dominante, istitutuzioni europee incluse. 

Va da sé che si tratta di mere ipotesi. Tuttavia, se si dimostrassero veritiere, lo scenario che si aprirebbe davanti a noi sarebbe molto interessante; vorrebbe dire che, attualmente, il vero punto debole dell'Unione Europea è il ceto politico italiano, che esso è l'unica autentica falla che sembra essersi aperta in quella che altrimenti appare come una fortissima corazzata. (C.M.)

martedì 13 maggio 2014

Lo straordinario Scacciavillani ci illustra l'effetto Hartz

 Come molti lettori sanno, il sottoscritto ritiene che nel campo anti-euro sia diffuso un po' troppo becerume semplicistico; e il becerume, dopo un po', stanca. Ciò non toglie che anche il più decerebrato anti-euro appaia come un novello Adam Smith nel confronto con la controparte, cioè gli euro-tifosi. 
Prendiamo questo pezzo, assolutamente straordinario, di Fabio Scacciavillani. L'autore vorrebbe confutare le tesi anti-euro, di cui tuttavia ha compreso ben poco, arrivando così a dare conforto agli argomenti che critica. E valga il vero.

Scacciavillani pubblica un grafico. Lo facciamo anche noi:





Il tasso di cambio effettivo, come ben definito dall'autore, è quello che "tiene conto del differenziale di inflazione tra i vari paesi e considera una media ponderata dei tassi di cambio reali verso i maggiori partner commerciali".

Il fine di Scacciavillani è quello di smentire la presunta bufala delle svalutazioni competitive tedesche; l'argomento (?) è che "in un'unione monetaria le svalutazioni sono impossibili". Beata ingenuità! È proprio un tasso di cambio reale inferiore a quello nominale che porta ad una svalutazione competitiva sul piano dei prezzi, cioè ad una svalutazione reale! Il grafico che l'imprudente autore diffonde è proprio la rappresentazione visiva di quanto appena detto: il cambio reale, a differenza di quello nominale (fisso a 1:1, visto che siamo in un'unione monetaria), non segue esattamente lo stesso percorso nelle due economie; e la distanza tra la linea azzura da quella rossa descrive, di fatto, l'accumularsi del debito estero dell'Italia nei confronti della Germania.

Ma c'è di più e di meglio.
Se si osserva bene il grafico, si nota (e Scacciavillani non manca di notare) che l'andamento del tasso di cambio reale dei due paesi è quasi perfettamente sovrapponibile a partire dal '96, e fino al 2004. Che cosa è accaduto in Germania nel 2004? Eh già.

Non avevo mai incontrato prima una rappresentazione grafica più efficace degli effetti devastanti delle riforme tedesche, né un autogol più clamoroso.
Ora, come è noto, noi le riforme del lavoro tra il '97 e il 2003 le abbiamo fatte, precedute dalla famigerata concertazione (leggi: salari al palo). Probabilmente è proprio per questo che il debito estero italiano, nell'ambito dei PIIGS, è quello più contenuto (in termini relativi), ed è incomparabilmente inferiore a quello francese.
La disintegrazione del mercato del lavoro non è però bastata a indurre gli imprenditori italiani a fare investimenti, e soprattutto a convincere Scacciavillani che abbiamo fatto i compiti a casa. Forse bisognava reintrodurre la servitù della gleba. (C.M.)


P.S. Sento già gli alti lai: ma tu non ci avevi detto che le ragioni del successo tedesco e del declino italiano erano endogene, e in ultima istanza slegate dal vincolo esterno (qui e qui)? E ora ci vieni a parlare dell'effetto disastroso della svalutazione competitiva tedesca? Attenzione. Nessuno contesta che il tasso di cambio abbia favorito i tedeschi. Si afferma che la ragione principale del predominio tedesco non siano da cercare nel tasso di cambio. Anni di ricerche economiche hanno confermato che innovazione e ricerca incidono sulle esportazioni molto più del tasso di cambio reale. E in questo sono confortato dall'opinione di un autorevole economista. 

domenica 11 maggio 2014

I fascisti stanno con Mosca, non con Kiev

Io non so granché di Ucraina. Certo, so che 'Maidan' significa, in ucraino come in turco, 'Piazza', e che perciò scrivere "piazza Maidan" è come scrivere "piazza Piazza" (in realtà si chiama, guardacaso, Piazza Indipendenza); il che mi consente di capire come la maggior parte degli "analisti", i quali cominciano invariabilmente i loro pezzi citando "piazza Maidan", non siano altro che dei simpatici cialtroncelli. So che Stepan Bandera, eroe di buona parte della rivolta anti-Janukovich, non era esattamente un nazista*. So che il programma politico di Svoboda, frazione minoritaria della rivolta, è molto simile a quello di Marine Le Pen; dacché non si comprende bene come si faccia a sostenere il FN in Francia, e a mettere in guardia dal "nazismo" in Ucraina.
So che se l'autodeterminazione dei popoli vale per tutti i popoli; quindi se vale per gli abitanti della Crimea dovrebbe valere anche per quelli della Cecenia (per dire).

Altro non so, di cose ucraine. Non sono come quei geni che, con una semplice ricerca Google, riescono a risalire a tutta l'organizzazione che l'occidente avrebbe messo in piedi per sostenere la rivolta, tracciando tutti i finaziamenti, le armi, i nomi degli agenti in azione, le false flags ecc. Faccio loro i miei complimenti e li esorto a fare domanda per entrare nel SISMI. Sono sprecati, da soli davanti al PC.

Da ignorante quale sono, suggerirei maggiore prudenza  nel prendere posizione per una parte o per altra. In particolare, raccomenderei cautela nel descrivere la rivolta anti-Janukovich come un movimento egemonizzato dall'estrema destra, pena cadere in un piccolo paradosso. Per illustrare meglio il paradosso, farò finta di violare la mia stessa raccomandazione, e descriverò Piazza Maidan (!!) come un covo di disgustosi neonazisti: 100% estrema destra. Gli "antimperialisti" saranno contenti.

Ma è proprio qui che sorge il paradosso. Il fatto è che, in Europa, i fascisti stanno con Putin, non con Maidan.

 
San Pietroburgo, 1 maggio 2014: testa del corteo neo-nazista

Riepiloghiamo. Una rivolta 100% estrema destra riesce a mobilitare molte migliaia di persone, e addirittura a scalzare un governo democraticamente eletto**. Per giunta riescono a farlo a dispetto di del regime di Putin, che dovrebbe essere considerato il successore di un nemico storico della destra europea, ossia il comunismo sovietico. Una dimostrazione di forza clamorosa; un successo senza precedenti. Ci si sarebbe aspettati che le estreme destre europee esprimessero giubilo e ammirazione per i valorosi camerati ucraini.
E invece:

-Il Fronte Nazionale francese si schiera con Putin, e da Mosca Marine Le Pen accusa l'UE di voler scatenare una nuova guerra fredda.
-Jobbik, il partito neo-fascista ungherese, definisce "esemplare" il referendum che, sotto occupazione russa, ha sancito l'anschluss della Crimea a Mosca; descrive inoltre il nuovo governo di Kiev come sciovinista e illegittimo (Jobbik che accusa qualcuno di sciovinismo è un'eccezionale gesto di comicità involontaria).
-Alba Dorata grida al complotto occidentale e giudaico contro l'Ucraina ortodossa (dunque russa). I simpatici esponenti del movimento neo-nazista hanno un discreto problema di coordinamento con la tesi secondo la quale l'attuale governo di Kiev sarebbe composto da estremisti anti-semiti, ma tant'è.
-Il British National Party, formazione rispetto alla quale Nigel Farage è un moderato democristiano, si schiera apertamente con Mosca, al più ricordando ai nazionalisti ucraini che non è stata la Russia a causare disastri nel loro paese, bensì il bolscevismo.
-Anche i fascisti spagnoli si scagliano contro i nazionalisti ucraini, accusandoli di essersi resi complici di un complotto sionista (daje), e mettono in guardia contro le persecuzioni dei cittadini russi che il governo di Kiev starebbe attuando.
E potremmo andare avanti.

giovedì 8 maggio 2014

Due articoli interessanti

Segnaliamo due interessanti articoli tratti dal circuito degli amici di Sollevazione-Campo Antimperialista.
Il primo ripercorre tutti i momenti nei quali la Lega Nord ha dato il proprio consenso alla nascita, al consolidamento, alla prosecuzione del progetto eurista. Si potrebbero citare anche altri provvedimenti, come la famigerata riforma Maroni (detta anche Biagi), che è un po' la nostra riforma Hartz.
Il secondo invece indaga le ragioni del recentissimo salvataggio, in Senato, nel progetto di revisione costituzionale di Renzi, da parte delle truppe berlusconiane. A proposito del patto Renzi-Berlusconi l'autore dell'articolo scrive:
(...) non sarà che a dispetto del gioco delle parti - il Berlusconi anti-Merkel, il Renzi che vuol cambiare l'Europa - quell'accordo è davvero l'ultima frontiera del blocco eurista? E non sarà proprio per questo che il blocco dominante applaude ed il peggior presidente della repubblica di sempre benedice?
E più avanti:

E' infatti piuttosto probabile che dalle urne giunga quantomeno una conferma della forza elettorale del M5S, il cui smantellamento era lo scopo principale del Super-Porcellum congegnato a gennaio. Se così sarà, e chi scrive se lo augura vivamente, i piani del segretario del Pd subiranno un brusco arresto, quantomeno per quel che riguarda le riforme costituzionali (Senato incluso) e la legge elettorale. Sarebbe una vittoria inconfutabile dell'opposizione al governo Renzi, che come abbiamo già visto è in realtà un governo Renzi-Berlusconi, al di là di quel che può pensare il coniglio Alfano.
Ci sembra in linea con quanto sosteniamo noi. Buona lettura. (C.M.)

mercoledì 7 maggio 2014

Il M5S nella trappola del nazionalismo

Da circa due anni il coro nazionale, formato dalle voci di ceto politico, media mainstream e gerarchie militari, non si stanca di ripetere la canzone dei nostri ragazzi ingiustamente detenuti in IndiaOra anche il M5S si augura che i due Marò tornino presto a casa. La circostanza che i due soggetti siano imputati per un delitto gravissimo, l'assassinio di Valentine Jelestine e Ajesh Binki non è richiamata.
Sulla vicenda suggeriamo con forza questa lettura. È un post lungo, ma che vale la pena leggere con attenzione. È probabile che la maggior parte dei lettori rimanga stupita, come è capitato a chi scrive, dalla distanza tra la narrazione ufficiale degli eventi e la dimensione concreta degli stessi. Sui fucilieri di marina si è creato, in questo paese, un unanimismo ipocrita molto simile a quello sedimentatosi attorno alle famigerate missioni di pace, e altrettanto fasullo.
Dispiace (ma forse non stupisce) constatare come il Movimento, da sempre affrancato dall'ideologia che giustifica l'invio di truppe di occupazione all'estero, si dimostri così subalterno alla narrazione ufficiale nel caso dei due Marò. È la prova (l'ennesima) che si tratta di una realtà ancora fragile, vulnerabile rispetto agli attacchi disinformativi del mainstream, e troppo spesso propenso a cavalcare temi apparentemente di ampio consenso popolare, ma che in realtà sono mere operazioni ideologiche dei ceti dominanti. (C.M.)


martedì 6 maggio 2014

Precari a vita grazie a Renzi e alla CGIL (e la FIOM?)

di Fabrizio Tringali

L'esito era scontato, l'avevo scritto due mesi fa, ma adesso abbiamo i numeri ufficiali: l'accordo interconfederale sulla rappresentanza, che distrugge la democrazia sindacale e svuota l'efficacia dei Contratti Nazionali di Lavoro, è stato approvato da tutta la CGIL (FIOM esclusa) con una maggioranza bulgara. Nella categoria dei metalmeccanici è accaduto l'opposto.

Ora che accadrà? 

Landini sostiene di essere legittimato a non applicare l'accordo, tuttavia la Camusso ha già ottenuto un'interpretazione autentica dello statuto a conferma del contrario.

L'impressione è che il leader della FIOM stia semplicemente prendendo per i fondelli coloro che dovrebbe rappresentare, alla stessa stregua degli altri leader di sinistra politica o sindacale che l'hanno preceduto. 
Il suo ruolo non è altro che quello dello specchietto delle allodole per i gonzi (sempre meno) che ancora credono che la sinistra stia dalla parte dei lavoratori.
Landini fa nel sindacato quel che Vendola fa in politica: critica da “sinistra” le nefandezze dei decisori d'area piddina, fa la voce grossa, combatte finte battaglie perse in partenza, e alla fine accetta e sostiene tutto quanto (sempre criticamente, però).

Solo così si spiega il fatto che Landini abbia portato la FIOM a sostenere il documento congressuale di Susanna Camusso, permettendole di stravincere il congresso.

Solo così si spiega la liaison con Renzi, il quale sta prendendo a mazzate i diritti dei lavoratori tanto quanto la segretaria confederale. Infatti, mentre si parla tanto dei famigerati 80 euro, il PD blinda il testo del decreto sul lavoro, dal quale è sparito l'obbligo di assunzione a tempo indeterminato nel caso venga sforato il tetto sui contratti a termine. Le aziende potranno così estendere a dismisura il precariato, rischiando solo una multa.

Grazie al combinato disposto dalla coppia Renzi-Camusso (che hanno anche la faccia tosta di far finta di litigare), avremo giovani precari a vita, che dovranno costantemente chinare il capo di fronte a qualunque sopruso, e che non potranno nemmeno sperare in qualche tutela sancita dai Contratti Nazionali di Lavoro, dato che grazie all'accordo sulla rappresentanza, potranno essere facilmente derogati.

Questa è la sinistra che governa. Mentre Landini e Vendola recitano la parte della sinistra che critica. Ma che poi lascia fare (quando non partecipa direttamente allo scempio). Chi ne è contento, il 25 maggio voti la lista Tsipras. Gli altri si augurino che questa non raggiunga lo sbarramento.

sabato 3 maggio 2014

Un intervento da "Sollevazione"

Abbiamo visto che il tema delle prossime elezioni europee suscita un acceso dibattito fra i nostri lettori. Pensiamo possa essere interessante la lettura di questo intervento apparso sul sito del Movimento Popolare di Liberazione:


http://sollevazione.blogspot.it/2014/05/le-europee-e-il-disfattismo.html


Personalmente lo trovo molto lucido e lo condivido. Ma naturalmente se ne può discutere.
(M.B.)

giovedì 1 maggio 2014

Ancora sui "Piedi storti", ovvero come le cause del declino italiano siano endogene

Il precedente post (che riprendeva a sua volta questo articolo) ha sollevato qualche perplessità. Qualcuno ha avanzato una risposta alla domanda che ponevo -perché la Germania è strutturalmente più competitiva dell'Italia-, ma i più hanno sostanzialmente respinto la mia argomentazione. Probabilmente ho spiegato male ciò che intendevo. Per rimediare prenderò a prestito uno scritto di Vladimiro Giacché. Con Giacché dovremmo andare sul sicuro: ha scritto l'ottimo Anschluss, ed è membro del comitato scientifico di A/simmetrie. Si tratta dunque di un autore al di sopra di ogni sospetto. Se non credete a me crederete a lui.
Vi segnalo dunque questo breve, ma denso saggio del 2004. Erano i tempi in cui Giacché, in altri scritti, affermava:
punto da cui partire è questo: l’orizzonte europeo non è una dimensione che si può scegliere o meno; è un contesto necessario e quindi anche un nuovo campo di possibilità.
E rincarava la dose:
Al tempo stesso, la moneta unica chiude - almeno tendenzialmente - lo spazio nazionale come orizzonte strategico dell’azione sindacale e politica. Questo significa che non esiste oggi alcuno spazio per un ritorno alla “sovranità perduta”, ossia non c’è alcuna possibilità di successo per chi si rinchiuda in un orizzonte politico e rivendicativo nazionale.  
Ma torniamo al saggio del 2004. Vi consiglio vivamente di leggerlo e rileggerlo, perché c'è tutto. C'è l'analisi del nanismo delle nostre imprese, e delle ragioni politiche di tale nanismo. Viene descritto il legame tra nanismo e mancato sviluppo capitalistico. Viene chiarito un punto importante: come la vocazione tipica delle PMI sia da far da sub-fornitrici delle grandi imprese, le uniche in grado di "servire" direttamente il mercato dei prodotti finiti; e dato che le grandi imprese, in Europa, sono sopratutto tedesche, ecco "svelato" che buona parte delle imprese esportatrici del Nord-Est altro non sono che fornitrici delle multinazionali tedesche. Questo fatto ci aiuta anche a capire perché il partito delle PMI del nord, la Lega, sia stata per anni genericamente "filo-tedesca"; e perché anche Matteo Salvini, fino a un anno e mezzo fa, volesse tenere la "Padania" all'interno dell'eurozona, escludendo il Sud. 
Del resto, a prendere sul serio il vecchio slogan leghista, cioè quello dell'indipenza della Padania (oggi del solo Veneto, chissà perché), noi avremmo a che fare con la proposta di creare un nuovo stato completamente inserito nell'orbita della Germania, non meno della Slovenia o del Lussemburgo...

Nel testo di Giacché si individua la relazione tra bassi salari, evasione fiscale e carenza di investimenti. Le PMI, potendo lucrare su una classe operaia remissiva e frantumata, nonché su una condizione di illegalità di massa (fiscale, contributiva, ambientale, ecc), non hanno incentivi né all'accorpamento né all'investimento. La mancanza di economie di scala, garantite dalle grandi imprese, è un ulteriore fattore che gioca contro l'investimento in nuove tecnologie. La pretesa di conservare il controllo familiare sull'azienda, d'altro canto, crea una condizione di cronica sotto-capitalizzazione  delle imprese, da cui segue il ricorso al credito bancario non, come sarebbe normale, per finanziare investimenti, ma semplicemente per ottenere liquidità; e questo aiuta a spiegare perché la crisi dello spread, con conseguente aumento del tasso di interesse dei prestiti bancari, sia risultato così esiziale per molte imprese italiane.

A questa galleria degli errori si potrebbe aggiungere anche qualcos'altro. La massa delle PMI è anche massa elettorale. Tale massa ha votato e sostenuto certe classi politiche in cambio di guarentigie: in particolare, che rimanessero invariati i livelli di illegalità e di evasione fiscale. Questa combinazione ha prodotto una generale condizione di profondo malgoverno, che ha generato una crisi dei servizi pubblici; ma i servizi pubblici efficienti (pensiamo solo alla scuola!) sono l'ambiente ideale per la nascita e lo sviluppo degli investimenti.

Ci si può chiedere se dal 2004 ad oggi non sia cambiato qualcosa. Per quanto riguarda le subforniture la situazione non pare sia cambiata: ancora pochi mesi fa, il Sole 24 Ore scriveva:
la Germania ha rafforzato la sua posizione a valle nelle catene del valore, avvicinandosi di più ai clienti finali, mentre l'Italia ha risalito la catena del valore verso posizioni più da fornitore. Nella catena manifatturiera l'Italia è oggi più fornitore e la Germania più vicina ai clienti. La partecipazione dell'Italia alla catena del valore diminuisce, mentre la Germania può contare maggiormente su network produttivi integrati.
Per quanto riguarda la dimensione delle imprese, il nanismo è rimasto. L'azione del governo Monti ha decimato le PMI, portandone decine (se non centinaia) di migliaia al fallimento, ma non si è verificato un contemporaneo processi di aggregazione tra imprese; anzi, la platea dei "top player" italiani si èsfoltita sempre di più dopo la fuga della FIAT. Insomma, mi sembra di poter dire che l'analisi di Giacché è assolutamente attuale.

Questa è l'ossatura del capitalismo italiano. L'euro ne ha messo a nudo la fragilità. Del resto la moneta unica, almeno dal punto di vista di buona parte della classe dirigente italiana, doveva servire appunto da rimesio a questa condizione di arretratezza. Ciò spiega anche perché Giacché fosse favorevole all'euro, e fosse vicino ad un partito (il PdCI) la cui linea strategica consisteva nel portare voti al partito dell'euro, al centrosinistra. Ma cosa è andato storto? Perché non ha funzionato? Ne parliamo in un prossimo post. (C.M.)