martedì 30 settembre 2014

Renzi e la scuola

Riceviamo e pubblichiamo questo intervento di Paolo Di Remigio, docente di Storia e Filosofia presso il Liceo Classico "Delfico" di Teramo
 
OSSERVAZIONI SUL RAPPORTO RENZI-GIANNINI
Paolo Di Remigio
Dopo aver ammesso il «rischio che le nuove funzioni legate all'autonomia abbiano distolto l'attenzione dalla relazione con lo studente» (p. 47), il Rapporto firmato da Renzi e Giannini, La buona scuola, lungi dal ricusare o almeno ripensare l'autonomia scolastica, proclama di volerla «realizzare pienamente» (p. 62). Così suscita il dubbio che essa sia un errore tecnico intenzionale e appartenga alla serie di riforme che, ad onta dell'augurio contenuto nel nome, mirano soltanto ad «attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l'individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere …», per ripristinare il mondo di cinquanta, cento anni fa, in cui «il lavoro era necessità; la buona salute, dono del Signore; la cura del vecchio, atto di pietà familiare; la promozione in ufficio, riconoscimento di un merito; il titolo di studio o l'apprendistato di mestiere, costoso investimento» (sono le parole austere dell'europeista Padoa Schioppa in un articolo sul Corriere della Sera del 26 agosto 2003).

venerdì 26 settembre 2014

Ancora su De Bortoli

L'articolo di De Bortoli, di cui abbiamo parlato ieri, non è certo passato inosservato. Segnaliamo un articolo di Stefano Feltri sul "Fatto quotidiano" e uno di Vincenzo Comito sul "Manifesto".
(M.B.)

giovedì 25 settembre 2014

Siluro europeo per Renzi?

L'editoriale anti-Renzi di Ferruccio De Bortoli è molto importante. È un attacco durissimo. Come può essere interpretato? Probabilmente si tratta di un messaggio dell'establishment italiano, volto a suggerire a Matteo Renzi di piegarsi, senza resistenze, ai diktat europei. Se così fosse, si tratterebbe di un ulteriore punto in comune con l'esperienza di Berlusconi, di cui abbiamo già parlato.

lunedì 22 settembre 2014

Le qualità morali della sinistra

Le "teste di serie" della Lista Tsipras alle scorse elezioni europee erano Barbara Spinelli e Curzio Maltese.

Chi sia Barbara Spinelli lo si può leggere qui, ma anche qui.

Chi sia Curzio Maltese lo si può leggere qui, ma anche qui.

Et De Hoc Satis.

Prevedibile e previsto

L'attacco ai diritti dei lavoratori, da parte del PD, non è ovviamente una sorpresa, perché si tratta della logica conseguenza dei vincoli che euro e UE impongono al nostro Paese, conseguenza prevedibile e prevista. Nel nostro piccolo, Tringali ed io scrivevamo, nel 2011, “l'attacco ai diritti dei lavoratori continuerà, secondo la linea scelta in Italia da Marchionne. Il lavoro sarà sempre più precario. La depressione economica rafforzerà il drammatico problema della disoccupazione” (M.Badiale, F.Tringali, Liberiamoci dall'euro, Asterios 2011, pag.14). Mi scuso per l'autocitazione, ma mi serve a spiegare come mai abbiamo poca voglia di intervenire sui recenti scontri fra Renzi e la CGIL: non abbiamo molto da aggiungere a quanto andiamo dicendo da anni. Segnaliamo comunque, a titolo di documentazione, vari articoli raccolti da Stefano Azzarà nel suo blog (li trovate qui e qui). La “grande stampa” è ovviamente schierata a favore del governo, e questo non ci può stupire. Può essere utile invece segnalare l'intervista a Landini pubblicata ieri sul “Corriere della Sera”, per la sua evidente debolezza (mentre più forte e sensata era l'intervista su Repubblica del 17-9). Nell'intervista al Corriere Landini sembra nettamente sulla difensiva, forse per via dell'apertura della Camusso al dialogo con Renzi. Ha un'unica buona risposta, quando ribatte che l'indebolimento dell'art.18, già operato dal governo Monti, non ha portato nessun vantaggio all'occupazione. Per il resto, nella sostanza accetta l'impostazione “accusatoria” dell'intervistatore, e cerca appunto di difendersi. Se ne deduce che perfino la parte migliore della sinistra sembra incapace anche solo di difendere le proprie ragioni in una intervista, non parliamo neppure di lottare in difesa dei propri ceti sociali. Perché? Evidentemente, nel caso di Landini, gioca la necessità di conservare un rapporto col resto della CGIL. Ma sullo sfondo vi è ovviamente l'incapacità, da parte della "sinistra di sinistra", di mettere in discussione euro e UE. A sua volta, questa incapacità si collega alla natura di fondo di ciò che è stata la sinistra. Ma qui il discorso diventerebbe davvero troppo lungo. I lettori interessati possono trovare analisi più approfondite nei libri che ho scritto con Massimo Bontempelli, in particolare “La sinistra rivelata” e La sfida politica della decrescita”.
(M.B.)

sabato 20 settembre 2014

Matteo Renzi farà la fine di Berlusconi?

Vale la pena di riguardare il video nel quale Matteo Renzi aggredisce il sindacato italiano.
Il vero talento del nostro Premier è riuscire a tradurre, in maniera brillante, in pseudo-linguaggio televisivo e pubblicitario lo pseudo-pensiero neoliberista e padronale sui diritti dei lavoratori. Lo spartito è sempre il medesimo: se "Marta, 28 anni" (ecco lo pseudo-linguaggio) non trova tutele per la sua maternità, è per colpa delle sue amiche dipendenti pubbliche (ed ecco lo pseudo-pensiero). Chi non ha garanzie e diritti può prendersela con chi ancora ne ha qualcuno, la disoccupazione è responsabilità del sindacato, e così via. È un messaggio volto a rinfocolare l'odio di tutti contro tutti, e che trova terreno fertile nelle menti devastate del grande pubblica televisivo.
Sbaglia chi vede qualcosa di nuovo o repentino nell'atteggiamento di Renzi: egli ripete queste cose da quando è salito sul palcoscenico, qualche anno fa. La sua è una aggressività coerente, e per nulla inaspettata.
Il sindacato, dopo anni di compromessi, moderazione, ritirate strategiche (cioè fatte di corsa), inchini e salamalecchi si trova sotto il fuoco del capo del suo partito di riferimento. La tattica della limitazione del danno ha fatto sì che il danno si ingigantisse. Se non ci fossero di mezzo anche i nostri diritti verrebbe da dire "ben vi sta!"
Fioriscono le analogie tra Renzi e Berlusconi, di cui avevamo discusso poco tempo fa. La loro missione era ed è giungere alla totale sottomissione del lavoro italiano alle ragioni della crescita e del capitale. Nel 2011, con il pieno accordo delle istituzioni europee, Berlusconi tentò un attacco in grande stile nei confronti del lavoro italiano (vedi "Lettera della BCE"). Fallì, e fu sostituito (non che lui non fosse d'accordo). Al suo posto venne Monti, e riuscì a sferrare colpi durissimi a quanto rimaneva del welfare state di questo paese. Fu una specie di Trojka fatta in casa.
Se Renzi fallirà, se le residue forze del lavoro riusciranno ad opporsi all'azione distruttrice del suo governo, è bene tenere presente il fiorentino "farà la fine" del suo predecessore: verrà semplicemente sostituito.
Chi ha ancora intenzione di lottare dovrà dunque tenere fermo questo punto: quello cui assistiamo è solo il primo assalto. Alle spalle del ceto politico e del capitale italiano si staglia l'ombra del ceto politico e del capitale europeo. Esattamente come nel 2011.
Naturalmente ci sono delle differenze. Il Renzi di oggi è molto più forte del Berlusconi del 2011; e il pretesto dell'emergenza spread in questo momento non sussiste. Ma dal punto di vista dei lavoratori la situazione non è poi molto diversa: il primo assalto del 2014 sarà semplicemente più violento di quello del 2011, e sarà accompagnato da una propaganda ancora più fittizia e evanescente.
Ciò che conta è non ripetere gli errori del passato, non concentrarsi troppo, non demonizzare, la figura di Renzi come si è fatto con quella di Berlusconi. L'uno come l'altro rappresentano solo il primo assalto. È sulla resistenza al secondo che si decide il nostro futuro. (C.M.)

giovedì 18 settembre 2014

Senza controlli


Un articolo sul “Fatto quotidiano” di ieri sottolinea i rischi dello “Sblocca Italia”, che sembra dare grandi poteri, in relazione a vari tipi di interventi sul territorio, senza prevedere grandi controlli. Se i lettori hanno maggiori informazioni (l'articolo non è esaustivo) e hanno voglia di condividerle, li ringraziamo. Si tratta comunque di un altro tassello che mette in luce le analogie fra renzismo e berlusconismo.
(M.B.)

martedì 16 settembre 2014

D'Orsi su Renzi

Su Micromega, Angelo D'Orsi nota le affinità fra Renzi e Berlusconi, al di là dell'ovvia constatazione della loro attuale alleanza politica. Il fatto che l'agenda politica di Renzi assomigli davvero a quella del noto pregiudicato, è in effetti un tema da approfondire.
(M.B.)

giovedì 11 settembre 2014

Martin Wolf sulla crisi

Segnaliamo un interessante articolo dal sito di “contropiano”, in cui si parla fra l'altro del nuovo libro di Martin Wolf, noto commentatore economico del Financial Times. L'intervista alla quale fa riferimento l'articolo su contropiano la trovate qui.
(M.B.)

lunedì 8 settembre 2014

Un sinistra nazionale?

L'ultima edizione di Le Monde Diplomatique si apre con un lungo editoriale di Frederic Lordon, autore che i nostri lettori già conoscono. Il pezzo si intitola significativamente La gauche ne peut pas mourir, e in esso vengono sviluppate varie argomentazioni, a partire dalla tesi dell'ineluttabilità della dicotomia destra-sinistra. Quest'ultima viene definita come il rifiuto della sovranità assoluta del capitale, e al contempo l'affermazione di una sovranità anticapitalista. In concreto tale affermazione deve prendere la forma di lotte reali portate avanti dalle classi subalterne; ma quale deve essere il terreno, lo scenario, di tali lotte? A questa domanda l'autore dà una risposta abbastanza  sorprendente per gli ambienti della sinistra radicale europea:


Resta la questione della scala territoriale entro la quale porre questa dialettica con il capitale (cioè contro di esso, N.d.T.). Nazionale, europea, o altro ancora? È abbastanza chiaro che lo scontro tra le due sovranità e l'avvio di un confronto tra queste due potenze presuppone, dal lato di chi contesta il dominio del capitale, ossia dal lato della sinistra, una grande densità politica, densità di relazioni concrete, di dibattiti, di riunioni, di azioni organizzate, la quale, basandosi sulla mutua comprensione linguistica, trova il proprio luogo d'elezione solo all'interno dello spazio nazionale.

Lo scorso giugno il Coordinamento dei lavoratori intermittenti e precari dell'Ile de France (CPI-IDF) ha invaso i cantieri della Filarmonica di Parigi per incontrare i lavoratori, evidentemente clandestini e provenienti, per la maggior parte, da una moltitudine di diversi paesi. Alla fragilità della loro situazione di estrema precarietà si aggiunge l'impossibilità totale di discutere tra di loro, e dunque di coordinarsi e lottare. E così il padronato, che sa sfruttare magistralmente le divisioni linguistiche, si trova di fronte una massa inconsistente e dispersa. Ecco un caso di genuino internazionalismo proletario; di fatto, un  caso di totale impotenza. 

A costo di urtare le sensibilità degli intellettuali alter-mondialisti, bi e trilingui, abituati a viaggiare e convinti che le loro capacità siano universalmente condivise, è ora di affermare che l'azione internazionale, di per sé possibile e utile, non avrà mai la medesima densità, e pertanto la medesima efficacia, dell'azione radicata nel contesto nazionale.
Ciò ovviamente non esclude gli effetti benefici del contagio e dell'emulazione trans-frontaliera. Non si formerà dunque un unica sinistra post-nazionale, ma più sinistre, radicate localmente ma non per questo meno desiderose di parlarsi e di appoggiarsi reciprocamente. 

Ci vuole tutta l'arroganza degli accademici, incoscienti della particolarità della loro condizione sociale, per ignorare le condizioni concrete dell'azione concreta, e per ricoprire di disprezzo tutto ciò che viene elaborato all'interno dello spazio nazionale, anche se è proprio in quest'ultimo che la quasi totalità delle lotte reali (e non immaginarie) ha avuto e ha luogo. In una parola, per continuare con l'eterna chimera dell'"Internazionale", questo spazio indeterminato e amorfo, quando la politica anticapitalista non può che essere inter/-/nazionale.

Lordon dunque deduce l'esigenza di concentrare le lotte nello scenario nazionale dall'esigenza di omogeneità linguistica, e ricava quest'ultima dalla circostanza che i dominati, per poter incidere nel corso degli eventi, devono ricorrere all'organizzazione, alla discussione, e ad altri momenti di azione collettiva che presuppongono la costante comunicazione tra soggetti. Lo scenario internazionale (e multinazionale) limiterebbe le possibilità di condurre tale comunicazione, e perciò ostacolerebbe l'avvio di lotte reali in grado di affermare una sovranità anticapitalista. La sinistra, anzi le sinistre, per essere tali devono essre in primo luogo nazionali.
Personalmente non sono molto persuaso da queste tesi. Ho l'impressione che Lordon non colga veramente nel segno. Ma si tratta comunque di un ragionamento interessante, e come tale va fatto conoscere e divulgato. (C.M.)


domenica 7 settembre 2014

Tutti odiano tutti

Cominciamo da un semplice esempio, fra tanti possibili. Il Corriere della Sera pubblica l'intervista a uno statale che si lamenta del blocco degli stipendi. Ad oggi ci sono 610 commenti. Ovviamente non li ho nemmeno scorsi tutti, ma da un campionamento casuale sembra che la grande maggioranza (non tutti, per fortuna) sia aspramente critica verso l'intervistato. Spesso, i commentatori sono anche offensivi e aggressivi. La mia impressione è che succeda più o meno lo stesso quando si indicano i problemi di ogni particolare categoria: se si parla della scuola tutti infuriati ad azzannare i docenti, se si parla dei lavoratori autonomi questi vengono attaccati in quanto evasori, e così via. Per tornare allo statale dell'intervista, ai suoi critici, che indubbiamente in molti casi stanno peggio di lui, si devono ricordare due cose. In primo luogo c'è sempre qualcuno che sta peggio di te: se il precario italiano sta peggio dello statale, l'africano disperato che muore nel tentativo di venire a farsi sfruttare in nero in Italia sta sicuramente peggio del precario. Con ciò si vuol dire che replicare, a chi segnala un problema, “comunque stai meglio di altri”, non è un argomento risolutivo, perché su questo pianeta quasi chiunque sta meglio di qualcun altro. Ma non è questa l'osservazione più importante, che è invece la seguente: se è vero che lo statale sta ancora relativamente bene, è certo che la sua situazione è peggiorata come è peggiorata quella di tutti. È questa la cosa fondamentale che bisogna capire da interviste come quella sopra indicata, e dalle tante altre notizie che si potrebbero citare: stiamo sempre peggio, tutti, ci stiamo impoverendo, tutti. Chi stava piuttosto bene ancora se la cava, chi era appena al limite della povertà ora è alla disperazione. Ma è questo movimento di peggioramento comune che bisogna saper vedere, per capire che la linea dell'evoluzione delle nostre società è chiara, ed è quella della distruzione del ceto medio e dell'immiserimento generalizzato. Sono cose dette e ridette, cito solo, giusto per dare un'idea, un breve intervento di Carlo Formenti, oppure il bel libro di Mario Pianta.
E invece di vedere tutto questo e di lottare contro il nemico comune, coloro che stanno perdendo tutto si sbranano fra di loro.  Ma questo serve solo a far vincere i nostri nemici, i ceti dirigenti dei paesi occidentali, nessuno escluso. Nemici nostri, nemici di tutti, perché hanno rinnegato il patto sociale che ha retto le società occidentali nel trentennio '45-'75, e ci hanno dichiarato guerra. Una guerra che stiamo perdendo appunto perché chi sta male odia chi pensa stia un po' meno male (vero o falso che sia), invece di capire che solo lottando uniti possiamo sperare di vincere.
Forse si potrebbe obiettare che dedurre un'analisi generale dai commenti on line ad un articolo è un po' azzardato. La critica è corretta, ma mi pare che sia un dato oggettivo la mancanza di solidarietà fra le varie categorie dei ceti subalterni colpite dalla crisi e dalle politiche di austerità. Poiché questa mancanza di solidarietà non favorisce certo gli interessi collettivi di tali ceti (lottando uniti qualcosa si potrebbe ottenere), mi pare sensato ipotizzare che ci siano forti spinte psicologiche anti-solidaristiche, e che l'aggressività diffusa che si nota nei più diversi ambiti sia una espressione di tali spinte psicologiche.
Sarebbe davvero utile che qualcuno ci aiutasse a capire il perché di tutto questo. Perché “tutti odiano tutti”, e nessuno riesce a vedere il comune nemico. Credo dipenda da mutamenti profondi nella nostra “psiche occidentale”, che dovremmo tentare di indagare. Ci torneremo, spero.
Non posso che concludere su una nota di pessimismo. Il punto dolente di questa situazione, in cui tutti odiano tutti, è che un ulteriore peggioramento economico non porterà la “sollevazione” tanto attesa da alcuni nostri amici. Porterà ad un ulteriore imbarbarimento, ad una violenza diffusa. Il fatto di stare peggio non porta automaticamente alla rivolta, può portare a sbranarti col tuo vicino.
E quest'ultimo mi sembra l'esito più probabile, data l'attuale situazione della coscienza collettiva.
Sarei naturalmente lieto se i lettori riuscissero a convincermi che il mio pessimismo è infondato.
(M.B.)

venerdì 5 settembre 2014

Citazioni/3

"Abbiamo già accennato nel capitolo I come, a partire dall'astensione comunista al governo Andreotti, l'attacco al programma riformista si manifesti essenzialmente in una netta dissociazione tra una manovra di inclusione politica del Pci nell'area della maggioranza ed una decisa penalizzazione, sul terreno economico-sociale, della sua base elettorale. La filosofia espressa dall'intervento di Modigliani al convegno Cespe della primavera del 1976 - che fa derivare la necessità di una partecipazione comunista al governo dalla intensità del rigore indispensabile nella terapia della crisi - è destinata a incontrare uno stuolo consistente di seguaci, senza che sia dato ritrovare, ripercorrendo il dibattito di allora, nessuna sua contestazione specifica da parte comunista.
Sono proprio coloro che più si distinguono per la insistenza sulla necessaria accettazione delle compatibilità del sistema economico - da Carli a La Malfa - che, nello stesso tempo, più esplicitamente - all'interno dell'area centrista - sponsorizzano una collaborazione di governo con il Pci riformulando per proprio conto la prospettiva dell'austerità. In definitiva, nonostante tutti i distinguo e le diversità delle intenzioni recondite, è proprio questa combinazione di rigorismo economico e permissivismo politico che costituisce la base della convergenza Moro-Berlinguer."
(L.Paggi, M.D'Angelillo, I comunisti italiani e il riformismo, Einaudi 1986, pagg.61-62).


Si sta parlando degli anni Settanta, dei governi di solidarietà nazionale con la partecipazione del Pci alla maggioranza e della parola d'ordine dell'austerità, lanciata da Berlinguer. La citazione è interessante perché dimostra che il ruolo della sinistra, di mediatore del consenso popolare a politiche antipopolari, risale a molto tempo fa, ed era chiaro già dalla metà degli anni Ottanta. Tutto il libro è fortemente critico verso le politiche del Pci di quegli anni, e dopo la santificazione berlingueriana di questo trentennale non è male vedere come si discutesse francamente, subito dopo la morte di Berlinguer, del fallimento della sua politica. Ringrazio Arturo per la segnalazione del libro.
(M.B.)

lunedì 1 settembre 2014

Le alleanze necessarie

Molti l'avranno già visto, perché è stato ripreso da vari siti, ma vale comunque la pena di segnalare un bell'intervento di Mimmo Porcaro:


http://sinistranoeuro.wordpress.com/2014/08/


(M.B.)