domenica 30 novembre 2014

Da non credersi

D'Alema dice cose di sinistra! C'è da chiedersi perché. Non credo che la vecchia volpe coltivi l'idea della scissione per fare una "cosa di sinistra", che avrebbe vita grama. Probabilmente, assieme ad altri della vecchia guardia, si sta preparando a far fuori Renzi, approfittando dei recenti segnali di difficoltà (contestazioni, astensionismo). Si tratta ovviamente di trame interne ad un ceto politico che, nella sua totalità, non può produrre nulla di buono per questo paese. Da notare la frasetta "siccome non c’è più flessibilità nella moneta, si continua a premere su misure di contenimento dei salari." Certi concetti si stanno diffondendo.
(M.B.)

mercoledì 26 novembre 2014

Il mondo si divide in due...

È uscito il libro di Marella Agnelli Ho coltivato il mio giardino”. A un sacco di altra gente, invece, gli è toccato lavorare.
(M.B.)

lunedì 24 novembre 2014

La Caporetto del ceto politico

PD: 16,5 %
Lega: 7,5 %
M5S: 5,5 %
FI+FDI+NcD: meno del 6

Queste sono le percentuali reali del voto in Emilia-Romagna. Se ad esse si aggiungono i risultati raggiunti da liste minori, si arriva al 38% di aventi diritto al voto. Alle scorse regionali, nel 2010, il dato era stato del 68%. Alle politiche di un anno e mezzo fa del 82%.
Ancora una volta le elezioni amministrative si rivelano la cartina di tornasole della disaffezione (e del disgusto) dei cittadini. Ne avevamo parlato due anni e mezzo fa. Le medesime considerazioni di allora valgono per l'oggi, amplificate.
Qualcuno ha provato a minimizzare la voragine che si è aperta nella regione che, un tempo, era quella dove più alta era la partecipazione popolare alle elezioni. Per esempio, qualcuno ha provato a spiegare che quanto è avvenuto è dovuto al fatto che il PD, di fatto, non aveva avversari. Argomento senza consistenza: la "sinistra", nelle sue metamorfosi, non ha mai avuto avversari competitivi in Emilia.
Qualcun'altro ha avanzato l'ipotesi che siano stati i vari scandali che hanno interessato sia il Consiglio regionale sia la Giunta emiliana ad aver provocato l'esodo dalle urne. Ma non è la prima volta che si vota all'indomani di simili scandali; e un crollo del genere non si era mai neanche sognato.
Le ragioni di quanto avvenuto sono molto, molto più profonde. Ed hanno a che fare con la trasformazione del regime politico in cui viviamo.
Ci sarà tempo per produrre analisi adeguate ai tempi. Per ora, solo una raccomandazione: non dite che Renzi ha vinto e la Lega vola, per piacere. (C.M.)

lunedì 17 novembre 2014

"L'euro? Non ci è mai piaciuto". Novità dal ceto politico

Raffaele Fitto, ras delle preferenze in Puglia e nel mezzogiorno d'Italia, si appresta a diventare coordinatore di Forza Italia; non casualmente, organizza un seminario anti-euro (cui parteciperanno i soliti nomi: Savona, Rinaldi, Barra Caracciolo).
Tutto ciò non stupisce. In fin dei conti, a chiacchiere il partito di Berlusconi è sempre stato su posizioni variamente euroscettiche.
Stupisce di più (ma anche qui fino a un certo punto) il fatto che a posizioni timidamente anti-euro stiano approdando anche diversi esponenti della sinistra PD.
Già conosciamo le posizioni di Stefano Fassina. Qualcuno ha anche parlato di un pronunciamento anti-euro di Gianni Cuperlo, ma non è stato possibile verificare tale dato.
La novità vera è rappresentata da quanto viene pubblicato dal sito Idee Controluce.
Tale associazione è una specie di ripostiglio per nostalgie ex-PCI . Si ad esempio legga questo meraviglioso pezzo di Pierluigi Bersani, che traccia la linea da Togliatti ai giorni nostri.
L'associazione ha recentemente pubblicato la seguente monografia: A quali condizioni può sopravvivere l'euro? Autore e titolo del primo saggio non lascia molto spazio all'immaginazione: "Un'ipotesi da non esorcizzare", di Vladimiro Giacché. Chissà a cosa si riferisce.
E' molto chiaro anche il saggio di Claudio Sardo.  Una frase, tanto per capire dove si va a parare:
Forse discutere apertamente della crisi dell’euro è diventato per noi un tabù proprio perché non riusciamo neppure a immaginarci in uno scenario di fallimento. Eppure il tabù va infranto.
Per togliere ogni dubbio, Idee Controluce ha pubblicato un pezzo di Alberto Bagnai.
E come se non bastasse Alfredo D'Attorre, colonnello bersaniano e fiero oppositore di Renzi, ha concesso al Foglio la seguente intervista: Caro renzi, occhio, con questa Europa tornerà presto la Lira. Cogliamo fior da fiore:

Perché il problema dell’Italia, inutile prendersi in giro, è più complesso del gioco sui decimali, e coincide con la parola euro”. D’Attorre prosegue il suo ragionamento. “Mi stupisco che un presidente del Consiglio che ha fatto del coraggio la sua cifra politica non abbia messo a tema il vero problema dell’Italia e più in generale dell’Europa. L’euro così com’è oggi non è più sostenibile e sono convinto che non possa continuare a esistere una moneta unica senza che dietro questa ci siano un governo politico e uno economico capaci di gestire il bilancio dell’Eurozona”.
Chiediamo al deputato del Pd: uscire dall’euro è una sciocchezza o è diventata una possibilità?
“Non credo alla tesi dei due euro. Credo ci siano due alternative concrete: o avviare un percorso federale che consenta alla nostra moneta di restare in piedi oppure si torna indietro alle monete nazionali ripristinando quella sovranità politica che gli attuali meccanismi europei oggettivamente non ci consentono. La situazione oggi non è sostenibile. E questo deficit democratico è ovviamente alla base delle manifestazioni di dissenso che, in varie forme, stiamo osservando tutti in molti paesi della zona euro”.

Se vi sembra poco, considerate che da quelle parti si partiva dall'idea che si dovesse morire per Maastricht.
Beppe Grillo, il cui movimento ha ormai abbandondato qualsiasi precauzione sulla polemica contro l'euro, ha dimostrato un anno e mezzo fa che le posizioni euroscettiche potevano incontrare un consenso di massa. Matteo Renzi ha dimostrato che anche presso l'establishment le condizioni dei trattati europei possono essere sottoposte a ripensamento. In queste fessure del muro di gomma del sostegno ad euro e UE stanno passando tutti gli esponenti più rilevanti del ceto politico nazionale.  E' ormai finita l'era del Ce lo chiede l'Europa. E' iniziata la stagione del trasformismo neo-patriottico. (C.M.)


Alluvioni. Due autocitazioni e un'osservazione finale

 Marino Badiale

A proposito degli ultimi problemi meteorologici, che mi hanno impedito di partecipare ad una iniziativa a Torino (vedi post di ieri), mi permetto due autocitazioni, alle quali aggiungo un commento alla fine.

“Proviamo a fare qualche esempio, che spero chiarisca cosa intendiamo qui per “irrazionalismo”. Da diversi anni si ha in Italia il fenomeno che le normali piogge autunnali causano allagamenti e disagi. È un fenomeno che indica con chiarezza una netta e sorprendente incapacità, da parte di un paese avanzato come l'Italia, di affrontare alcuni problemi di base di gestione del territorio, di fronte a problemi meteorologici che non appaiono così eccezionali. Probabilmente ogni tanto le piogge autunnali sono un po' più abbondanti del solito. Ma stiamo parlando comunque di piogge autunnali in un paese di clima temperato, non di uragani tropicali a Mondovì o dello scioglimento di tutti i ghiacciai della Terra o dell'aumento di dieci metri del livello dei mari. Ricordiamo adesso come, da qualche anno a questa parte, tutti i più importanti media esaltino i nuovi ritrovati delle tecnologie informatiche e le nuove possibilità che essi aprono all'economia e alla cultura. Ecco allora un'osservazione che si impone a chiunque si dia la pena di riflettere, e che la cultura di massa evita accuratamente di considerare significativa: com'è possibile che il progresso permetta di avere, per esempio, i cellulari collegati a internet, ma non si riesca a impedire che le piogge d'autunno uccidano un certo numero di persone? Cos'è mai questo progresso, chi lo dirige, chi decide che su certi temi si investono soldi ed energie mentre altri problemi sono lasciati al caso e alla bontà del cielo?”
(M.Badiale, Difficili mediazioni, Aracne 2008, pag.36).


“La prima cosa che dovrebbe essere chiesta ai politici, e di cui essi mancano del tutto a destra, al centro e a sinistra, suscitando ciò nonostante una indignazione molto inferiore a ciò che sarebbe naturale, è l'attenzione verso ogni grave fattore di disagio a cui vengono richiamati dalle persone. Faccia il lettore un esperimento mentale. Immagini che in una qualsiasi città (escludendo quindi i piccoli borghi, perché lì il sindaco è talvolta vicino ai suoi compaesani, non in quanto politico, ma appunto in quanto compaesano), un qualsiasi cittadino, senza usare alcuna violenza, senza entrare in un gruppo di pressione, e senza usare forme drammatiche di protesta, segnali un suo grave fattore di disagio: ad esempio, è sotto sfratto e non ha altra casa dove andare ad abitare, oppure ha un congiunto invalido che non è in grado di assistere, oppure non gli arriva ai rubinetti che acqua inquinata, oppure non può arrivare a casa senza passare per una strada deserta e non illuminata dove si sono verificate aggressioni, oppure deve attraversare in bicicletta una rotonda dove sono all'ordine del giorno investimenti da parte degli automobilisti, oppure abbia qualche altro problema. Immagini il lettore che il cittadino faccia presente il suo disagio a qualche autorità deputata a interessarsi di cose di questo genere e a risolverle. Ripetiamo: senza usare una qualche forma di pressione, ma semplicemente segnalando il proprio problema di cittadino. Si prosegua nell'esperimento mentale: che cosa succederà? Niente. Nessuno presterà attenzione al suo disagio. Ecco: questa disattenzione come regola segnala che abbiamo a che fare non con politici, ma con miserabili politicanti.”
(M.Badiale, M.Bontempelli, La sfida politica della decrescita, Aracne 2014, pag.99-100)

Il senso dell'accostare queste due citazioni spero risulti chiaro: alluvioni e disagi si ripetono da anni, inducendo giornali e telegiornali a ripetere sempre gli stessi titoli, senza che nessuno faccia realmente qualcosa per attaccare il problema della cattiva gestione del territorio, in Liguria e in tutta l'Italia. Questo perché incidere seriamente su questo problema vuol dire rimettere in discussione tutte le nozioni accettate di progresso, sviluppo e così via. E una classe di politicanti che è semplicemente un'articolazione di un ceto dominante a cui non interessa più nulla del benessere dei cittadini, non ha nessun interesse a impegnarsi in questo. Questo significa semplicemente che per poter pensare di affrontate questo problema occorre spazzare via l'intero ceto politico. Ma gli insegnamenti delle disavventure idrogeologiche di queste settimane non si limitano a questo. Se per esempio parliamo dell'uscita dall'euro, sappiamo tutti, e lo abbiamo detto e scritto, che non sarà una passeggiata, che ci saranno problemi da risolvere e prezzi da pagare. Ma come si può pensare di affrontare questi problemi con una classe politica che non è capace neppure di impedire il ripetersi di drammi e morti dovuti al fatto che d'autunno piove (come credo succeda, nel nostro paese, più o meno dalla fine dell'ultima glaciazione)? A me sembra evidente che la richiesta di uscita da euro e UE deve accompagnarsi alla creazione di nuove forze politiche che distruggano e facciano sparire le attuali. Non sarà facile, la porta è davvero stretta, ma di questo ha già detto, meglio di me, uno che se intendeva:

Entrate per la porta stretta, poiché larga è la porta e spaziosa la via che mena alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa. Stretta invece è la porta ed angusta la via che mena alla vita, e pochi sono quelli che la trovano (Matteo 7:13-14)”

sabato 15 novembre 2014

Messaggio di un alluvionato ai sovranisti


Una grande vittima del regime dell'austerity e, in Italia, dell'impunità garantita all'abusivismo edilizio è la cura del territorio. In Liguria, nel 2014, quando piove forte succede di tutto. Marino Badiale doveva essere a Torino alle 21 di sabato 15 novembre (vedi post precedente) ma non ci è potuto andare. Ecco il messaggio che Marino ha inviato ai responsabili dell'incontro, che è stato letto ai partecipanti.

Un saluto a tutti i presenti. L'interruzione della linea ferroviaria Genova-Torino, causa maltempo, mi impedisce di essere presente all'iniziativa, e me ne scuso con tutti. Per fortuna ho già avuto modo, in altre occasioni, di vedere “Il più grande successo dell'euro”, e credo sia un'ottima base per un dibattito. Non era mia intenzione partecipare all'iniziativa discutendo dei problemi tecnici dell'euro, sui quali esiste ormai una abbondante documentazione. La mia intenzione era quella di porre il solito antico problema “che fare?”. Per tentare, tutti assieme, di rispondere a questa domanda, occorre capire quale sia realmente la nostra situazione. In estrema sintesi, la direzione fondamentale degli ultimi decenni di storia nei paesi avanzati deriva dalla decisione dei ceti dirigenti di imboccare una strada che porta inevitabilmente alla distruzione di tutto ciò che i ceti subalterni avevano conquistato nei trent'anni seguiti alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Questa strada, che normalmente è indicata con termini, forse non del tutto precisi, come “neoliberismo” e “globalizzazione”, è stata seguita in modi diversi nei diversi paesi e nei diversi momenti storici. Per i paesi dell'Europa continentale, la forma che essa ha assunto è quella dell'Unione Europea e dell'euro. UE ed euro sono cioè strumenti dell'aggressione alla civiltà sociale dei nostri paesi, e sono, qui ed ora, i meccanismi che occorre distruggere per poter sperare di uscire dal marasma in cui i ceti dirigenti ci stanno precipitando. Ma poiché la lotta contro UE e euro è una lotta politica, da ciò discende la necessità di costruire una forza politica che abbia come fine la riconquista della sovranità nazionale e popolare e la difesa dei principi della Costituzione del 48. Il percorso di tale costruzione può però essere lungo. Nell'immediato, occorre a mio parere cercare di favorire la diffusione di queste idee in tutti i modi e in tutti gli ambiti possibili. Le recenti prese di posizione del Movimento 5 Stelle evidenziano come questa diffusione sia possibile.
Spero che queste rapide osservazioni possano essere di stimolo al vostro dibattito, e vi rinnovo i miei saluti “sovranisti e costituzionali”.

giovedì 13 novembre 2014

Sabato 15 novembre

Sabato 15 novembre parteciperò a Torino ad una iniziativa dell'ARS. I riferimenti li trovate qui.
(M.B.)

sabato 8 novembre 2014

Il Referendum sull’euro e i suoi critici


Curiosa è la propensione di molti intellettuali e attivisti “anti-euro” a criticare con estrema veemenza chi propone di riservare all’esito di una consultazione popolare la scelta di rimanere o fuoriuscire dalla valuta unica. Spesso tali critiche sono più dure di quelle rivolte ai sostenitori politici dell’euro.
 Viene da chiedersi le ragioni di tale “fuoco amico”.
  • ·     In molti sostengono che il referendum sia semplicemente incompatibile con il quadro costituzionale vigente, contrassegnato dal divieto di consultazioni popolari sugli atti di ratifica di trattati internazionali; perciò non si tratterebbe di una scelta inopportuna, quanto irrealizzabile.

Questa critica è chiaramente pretestuosa, e ciò si ricava dall’atteggiamento stesso di chi la fa. Nessuno di questi infatti sottolinea la necessità che i cittadini si esprimano direttamente sull’euro: l’osservazione tecnico-giuridica è sempre strumentale alla preferenza (tutta politica) che la consultazione non si tenga. Non si tratta dunque di un “vorrei ma non posso”, ma di un atteggiamento cavilloso di chi in fin dei conti spera che la Corte Costituzionale dichiari inammissibile il quesito referendario. A tale argomento si può controbattere che la questione non è giuridica, ma politica. La consultazione si può tenere, se è introdotta mediante Legge Costituzionale. Le Camere che si esprimeranno contro tale Legge (proposta dal Movimento 5 Stelle)* si assumeranno la responsabilità di negare ai cittadini il diritto di avere voce in capitolo sulla questione dell’euro.

  • ·         Altri opinano che un referendum del tipo di cui stiamo parlando sarebbe, per così dire, “a perdere”. La potenza mediatica dell’establishment, per ora solidamente pro-euro, sarebbe tale da privare i cittadini della loro capacità di raziocinio: una campagna di terrorismo sulle sorti dell’Italia fuori dall’euro sarebbe sufficiente a far perdere la consultazione a chi vuole il ritorno alla Lira. D’altro canto, mercati e risparmiatori non starebbero a guardare: la prospettiva dell’eurexit provocherebbe una ciclopica fuga di capitali dal nostro paese, che vedrebbe così definitivamente affossate le proprie speranze di ripresa.

Questo atteggiamento denota fariseismo e ipocrisia, soprattutto se si guarda a chi lo adotta. Non si fa riferimento ai sostenitori della valuta unica, il cui astio anti-referendum non provoca certo stupore. Ci riferiamo invece a determinate persone (e movimenti politici) che l’uscita dall’euro la vogliono, ma per decreto. Analizziamo una fallacia alla volta.
Affermare che il referendum non si debba tenere perché c’è il serio rischio che lo si perda non è cosa meritevole di commento. Non ci dice molto sull’opportunità della consultazione popolare, quanto della sicurezza nelle proprie idee che contraddistingue chi condivide simili opinioni. Il potere mediatico è in mano all’establishment, non c’è dubbio. Occorre dunque sostenere solo referendum che piacciano all’establishment? Non solo; affermare che è poco opportuno affidare alla scelta diretta degli elettori un tema così importante come quello dell’euro tradisce un profondo disprezzo per questi ultimi.

giovedì 6 novembre 2014

La fiom spinge la cgil allo sciopero generale. Ma basterà per fermare Renzi?

di Fabrizio Tringali
Sciopero generale! 
Questa la parola d'ordine che la Fiom ha deciso di mettere in campo per provare a mettere i bastoni fra le ruote al governo Renzi, già semi-impantanato nei meandri delle Camere, dove le tanto decantate riforme non decollano (per nostra fortuna) e dove i provvedimenti vanno avanti solo a colpi di fiducia, riducendo a zero la sovranità del Parlamento.
L'atteggiamento del maggiore sindacato dei metalmeccanici rappresenta una notizia positiva, naturalmente. Tuttavia conviene non farsi troppe illusioni, almeno per ora.
Sono ancora molte le contraddizioni che rendono troppo debole le posizioni espresse da Landini. 
Basta leggere il documento ufficiale approvato dalla recente Assemblea Nazionale della Fiom per rendersene conto. Si rifiuta il jobs act (che, ricordiamo, al momento è una delega in bianco al governo, ma nelle intenzioni di Renzi esso dovrebbe riguardare non solo l'articolo 18, ma anche la possibilità di demansionamento e i controlli a distanza sui lavoratori), si critica l'austerity, si reclama un piano di investimenti pubblici e privati in tutti i settori. Tutto condivisibile, peccato che manchi uno straccio di analisi sulle ragioni che portano le istituzioni europee e nazionali a sostenere questi provvedimenti. Non una parola sull'euro o sul mercato unico. E ovviamente nessuna posizione chiara in rottura con essi.
Si critica la BCE perché impone austerity, ma ci si dimentica di specificare che si tratta di una banca “indipendente”. Che invece dovrebbe diventare “dipendente” cioè sotto controllo pubblico, perché la politica monetaria, ovviamente, condiziona le politiche economiche. Le quali, peraltro, sono di fatto decise del paese più forte, quando condividi la moneta e il mercato.
Il nemico quindi, non è solo Renzi. E la Fiom farebbe bene a prenderne atto. Se si dovesse vincere la battaglia, riuscendo a far fallire i piani del governo, la guerra non sarebbe finita, anzi, in tal caso, la potenza di fuoco usata contro i lavoratori (e contro tutti i cittadini che nella varie parti d'Italia lottano in difesa dei loro diritti, del territorio, dei beni e servizi pubblici) aumenterà. E se la troika non dovesse trovare un nuovo cavallo su cui puntare, allora proverà ad assumere direttamente la guida del paese. Sarà sempre più chiaro che per difendere i lavoratori occorre scagliarsi contro le istituzioni europee. E sempre più lavoratori rifletteranno su quanti hanno saputo dir loro la verità, e cioè che l'Italia, così come il resto dei paesi europei, per uscire dalla crisi ha bisogno del pieno recupero della sovranità politica, economica, monetaria. E su quanti invece hanno taciuto.


domenica 2 novembre 2014

Il Fatto non lo ha fatto


Nell'inserto economico del "Fatto quotidiano" di mercoledì 22 ottobre è comparso un articolo di Marco Bertorello, critico nei confronti delle prese di posizione anti-euro di Grillo. Ci è sembrato valesse la pena discuterne, così Tringali ed io abbiamo scritto un breve intervento di risposta  e l'abbiamo mandato al "Fatto" con preghiera di pubblicazione. Ma il Fatto non lo ha fatto (o almeno, se lo ha fatto, non ce lo ha detto), quindi lo pubblichiamo qui.
(M.B.)





Nel criticare la presa di posizione di Grillo contro l'euro (“Caro Grillo, più che l'euro attacca i trattati”, Il Fatto quotidiano del 22-10), Marco Bertorello afferma che l'euro si è rivelato una moneta che regge la crescita ma non la crisi, che la rincorsa all'abbassamento del costo del lavoro e la finanziarizzazione dell'economia sono fenomeni globali, non limitati all'eurozona, e che occorre attaccare il quadro di regole che li determinano, a partire dalla denuncia dei trattati UE.
Si tratta di posizioni condivisibili. Tuttavia quando esse vengono unite ad un atteggiamento di sufficienza, per non dire di fastidio, verso chi lancia concrete battaglie contro la moneta unica, finiscono per ottenere un unico scopo, quello di mantenere chi le assume in un comodo quanto inutile cantuccio, ben distante da qualunque forma di azione politica concreta che possa mettere i bastoni fra le ruote ai decisori nostrani ed europei, che ci stanno portando verso la catastrofe (e che non a caso, all'euro tengono molto).
Infatti, come è ovvio che “no” è la risposta alla domanda cruciale che pone Bertorello: “siamo sicuri che sia praticabile il recupero della sovranità monetaria e dello Stato se non cambiano i meccanismi di fondo dell'economia?”, è altrettanto lampante che la stessa risposta va data alla domanda: “è possibile un cambiamento radicale dell'economia rimanendo nell'euro?”.
Dunque, il punto non è discutere se l'euro sia o meno “il problema centrale”, bensì prendere atto che, in ogni caso, l'uscita dall'euro è condizione necessaria, seppur non sufficiente, per impostare politiche in difesa dei ceti subalterni e di fuoriuscita da un capitalismo sempre più vorace e distruttivo.
Mentre si stenta a capire chi e come potrebbe, concretamente, oggi, costruire “alleanze internazionali tra paesi periferici e tra segmenti di società per sottrarsi alle regole dell'Unione europea”, si comprende perfettamente che la battaglia per l'uscita dall'euro è realizzabile, anzi è già iniziata, e il M5S ha il pregio di aver definito il quadro giuridico in cui praticarla, nel rispetto della Costituzione. Vincerla significherebbe abbattere uno dei pilastri dell'impalcatura liberista europea che sorregge il mercato unico (presto allargato anche agli USA tramite il trattato “TTIP”).
A noi piacerebbe che la stessa battaglia venisse combattuta direttamente contro la UE, ma non si può non riconoscere che oggi l'euro rappresenta il grimaldello politico sul quale costruire un movimento di pensiero e di azione che metta in discussione lo stato esistente delle cose.
Chiunque voglia fare politica e incidere davvero sulla realtà, deve porsi il problema di capire, in ogni determinata situazione storica, quali sono i temi sui quali è possibile agire concretamente, e con qualche speranza di successo. L'euro è uno di questi.
(Marino Badiale, Fabrizio Tringali)