giovedì 29 gennaio 2015

Caino for President

Nell'inserto economico del “Fatto Quotidiano” di mercoledì 21 gennaio c'è una intervista a Franco Bernabè, ex presidente telecom, che potete trovare qui. C'è un passaggio interessante dovuto al fatto che l'intervistatore (Giorgio Meletti) ha uno sprazzo di lucidità, insolito nella categoria dei giornalisti, e riesce a chiarire il senso delle parole dell'intervistato. Il passaggio è il seguente:


F.Bernabè. L'unica cosa che si può e si deve fare è liberare le energie per la creazione di nuove iniziative. La tecnologia ha fatto sì che oggi le soglie di accesso alla creazione di un'impresa si sono molto abbassate. Le opportunità ci sono, anche in Italia, bisogna mettere i giovani in condizione di coglierle.
G.Meletti. Ma l'idea che tutti i giovani debbano farsi la start up non è un po' come dire loro: arrangiatevi? E se uno per caso non è creativo, non ha l'idea geniale, o semplicemente non vuol vivere con il coltello della competizione tra i denti, deve morire di fame?
FB. L'economista americano Tyler Cowen ha scritto recentemente un libro intitolato Average is over, che letteralmente significa “la media è finita”. Significa che non c'è più spazio per galleggiare, il mondo è diventato terribilmente competitivo per il semplice fatto che in pochi anni la cosiddetta globalizzazione ha messo 500 milioni di europei in gara con tre miliardi di cinesi e indiani. E adesso sta esplodendo l'economia africana. È così, oggi chi non è creativo e competitivo starà molto peggio di chi non lo era trent'anni fa.
GM. Una classe dirigente che dice al popolo che viene diretto “scusate, è andata male, ognuno per sé e Dio per tutti” non è un grande spettacolo.
FB. Sta accadendo così in tutti i Paesi dell'Occidente.”

Come dicevo, l'intervistatore ha colto esattamente il contenuto reale della retorica di Bernabè traducendola nel semplice invito, da parte delle classi dirigenti, ad arrangiarsi. Bernabè tergiversa, cita un economista americano, che fa sempre cool, ma alla fine, con un po' di giri di parole, conferma che la sostanza della situazione è questa.
A me sembra che si tratti di uno scambio che ci dice davvero molto, sulle nostre classi dirigenti. Ci mostra una notevole mescolanza di lucidità e follia. La lucidità sta, naturalmente, nel descrivere in maniera corretta la situazione, che è proprio quella che emerge dalle parole di Bernabè. Possiamo aggiungere che ormai davvero nessuno nasconde più nulla, tutto è chiaro. La follia sta nel pensare che una situazione del genere possa essere stabile. Si può pensare che stia in piedi uno Stato, una comunità, un gruppo umano di un qualsiasi tipo, sulla base del principio “ognuno pensa per sé”? Sulla negazione di ogni solidarietà, di ogni condivisione? È noto che “sono forse io il custode di mio fratello?” è la risposta di Caino al Signore che lo interroga sulla sorte di Abele (Genesi, 4, 9),   e il racconto biblico sembra suggerirci che, sulla base dei principi di Caino e Bernabè, un gruppo umano (in questo caso, la prima famiglia) si scontra rapidamente con problemi piuttosto gravi.
I gruppi dirigenti dei paesi occidentali stanno distruggendo, direi senza rendersene troppo conto, le basi stesse della convivenza civile. Si tratta di un processo che finirà per travolgere, alla fine, anche il loro potere. Purtroppo, prima di questo, travolgerà le nostre società, le nostre famiglie, le nostre vite.
(M.B.)

lunedì 26 gennaio 2015

Brevissimo

Un  brevissimo commento sulle elezioni in Grecia. La sinistra vittoriosa sta formando a tempo di record un governo con la destra anti-UE, snobbando le altre forze di sinistra presenti in Parlamento. La rapidità con cui si sono concluse le trattative è un indizio del fatto che gli accordi erano presumibilmente già pronti prima delle elezioni. Il governo che, a quanto pare, governerà la Grecia, si profila al momento come una specie di "grande coalizione anti-UE", cioè una realtà finora inedita e molto interessante, da esaminare con attenzione.
Nel frattempo Marine Le Pen e Salvini esultano per la vittoria di Syriza. Tutto questo indica con molta chiarezza, ci sembra, come il discrimine oggi non sia quello fra destra e sinistra ma quello fra adesione o opposizione alla UE.
(M.B.)

giovedì 22 gennaio 2015

La lingua dei signori

Dalla prefazione di A.Riccardi ad una raccolta di scritti e discorsi di De Gasperi:


"[De Gasperi] nel secondo dopoguerra diventa uno dei padri del processo di integrazione europea con il tedesco Konrad Adenauer e il francese Robert Schuman (i tre parlavano in tedesco tra loro)"
(A.De Gasperi, La politica come servizio, RCS 2011, pag.9, corsivo mio)


I creatori del processi di integrazione europea tra di loro parlavano in tedesco. Certo, è solo una curiosità sulla quale sorridere...
(M.B.)

mercoledì 21 gennaio 2015

Un articolo di Augusto Graziani

Nel gennaio 2014 moriva Augusto Graziani. L'associazione Paolo Sylos Labini lo ricordò ripubblicando un suo interessante articolo della metà degli anni '80, nel quale erano sintetizzati in maniera chiara e lucida alcuni dei problemi fondamentali della politica economica italiana. A suo tempo l'articolo mi era sfuggito, rimedio segnalandolo adesso:


http://www.syloslabini.info/online/cambiare-tutto-per-non-cambiare-niente-una-spregiudicata-analisi-della-politica-economica-del-nostro-paese/

lunedì 19 gennaio 2015

Un articolo di Bernard Maris

La rivista on line "Economiaepolitica" ha pubblicato la traduzione di un articolo di Bernard Maris, l'economista morto nella strage di Parigi.
Segnalo anche una interessante intervista a Piergiorgio Gawronski.

venerdì 16 gennaio 2015

Il Papa Hooligan



di Fabrizio Tringali

[Papa Francesco al Corriere della Sera 15/01/2015]

Questa affermazione, che contiene un'incredibile contraddizione (non si può reagire violentemente, ma è normale dare un pugno a chi provoca), giustifica ogni tipo di violenza contro chiunque si consideri reo di "provocazione".
Poiché, se è vero che avrò diritto di reagire con un pugno ad una offesa contro mia madre, allora potrò reagire anche con un calcio, o con una coltellata, o con un colpo d'arma da fuoco. E' infatti impossibile stabilire quanta violenza sia "giusta" rispetto ad una provocazione.
Certo, le provocazioni esistono, e danno fastidio. Insultare la madre di qualcuno significa provocarlo. Anche prendere in giro una religione rappresenta, per qualcuno, una provocazione. E così anche insultare o prendere in giro una squadra di calcio o i suoi tifosi.
Per ciascuno, qualunque insulto o presa in giro rivolto a tutto ciò che non si desidera venga insultato o canzonato, rappresenta una provocazione.
Papa Hooligan ci dice che "è normale" che di fronte a una provocazione, si reagisca con violenza.
Di certo gli attentatori di Parigi si consideravano provocati dalle provocatorie vignette che Charlie Hebdo pubblica da quando è nato.
Per sua Fortuna Papa Hooligan non è francese. Di fronte ad una tale difesa della violenza contro le provocazioni, chissà cosa gli avrebbero fatto, nel paese dove si arresta un comico (provocatore) per apologia di terrorismo.
Qualcuno spieghi a Papa Hooligan che in un paese civile si possono compiere atti che qualcuno può considerare provocatori, come prendere in giro le religioni. Ma non si può mai reagire violentemente alle provocazioni.
Semmai, se lo si ritiene opportuno, ci si può rivolgere alle istituzioni di giustizia, perché in un paese civile le controversie, anche quelle relative alle presunte offese, non si risolvono con la violenza, ma nei luoghi preposti, come le aule dei tribunali.

Immagine presa da http://www.zentabaga.com

mercoledì 14 gennaio 2015

Bontempelli sull'11 settembre

Ripubblico alcuni brani da un articolo che Massimo Bontempelli aveva scritto a ridosso dell'11 settembre, perché, con ovvi mutamenti, mi pare contengano osservazioni ancora utili. L'articolo
(“Uomini Torri Manichini”) era apparso, in forma di opuscolo, come numero 3, anno IX-2001, della rivista “Koiné”, stampata in Pistoia dalle edizioni CRT. Nella versione pubblicata l'articolo non era
firmato.
(M.Badiale)




Prevediamo che quando sarà trascorso il tempo storico sufficiente perché possano emergere informazioni più precise, si scoprirà che l'attentato terroristico dell'11 settembre 2001 è stato la mossa
traumatizzante di una contesa sotterranea tra cordate economiche rivali per il controllo di posizioni e quote del mercato mondiale degli stupefacenti e dei petroli. La rete di Bin Laden, al centro della raccolta di capitali di una cordata, e sua forza d'urto militare, ha inviato un terrificante messaggio mafioso al potere politico-militare americano: o accettate una nostra maggiore presenza economica
come vostri soci d'affari, emarginando altri concorrenti, come quelli arabi nostri rivali, o noi possiamo colpire in maniera devastante il vostro territorio (…).
Dire che l'atto terroristico dell'11 settembre 2001 è stato la mossa di un giuoco tutto interno al sistema imperiale americano, condotto con i suoi mezzi e i suoi linguaggi (…) non significa affatto, sia ben chiaro, dire che il fondamentalismo islamico non c'entra, e neppure che Bin Laden lo usa in maniera soltanto strumentale. Il fondamentalismo islamico, che non coincide affatto con il terrorismo, può esserne tuttavia la matrice, ed in questo caso lo è stato quasi sicuramente. Non c'è contraddizione tra l'ispirazione fondamentalistica e lo scopo affaristico di certo terrorismo. La rete di Bin Laden accumula capitali attraverso le transazioni ed i canali del capitalismo globalizzato, e li investe nella promozione del fondamentalismo islamico, e degli atti terroristici intesi a potenziarlo, perché è culturalmente e politicamente parte dello schieramento fondamentalista. Nello stesso tempo, gli atti terroristici sono essi stessi investimenti economici, in quanto mezzi con i quali aprirsi nuovi spazi nel mercato globale. Ciò non viene capito perchè sfugge un concetto essenziale: il fondamentalismo islamico, come ogni altro fondamentalismo contemporaneo, è bensì in antitesi con i valori della civiltà  borghese moderna, e quindi con l'Occidente inteso quale luogo spirituale di tale civiltà, ma niente affatto con il capitalismo, il quale peraltro ha ormai eroso anche in Occidente i valori storici dell'Occidente (…).
Il sistema imperiale americano ha cancellato tutti i i valori della moderna civiltà borghese, lasciando soltanto, come principio di ogni scelta, il nudo interesse mercantile. Il suo capitalismo, storicamente generato dall'etica delle classi borghesi, si è poi socialmente dilatato fino ad autonomizzarsi dalle culture stesse da cui è scaturito. Esso, nato da un'etica, ha abolito ogni etica, sostituendola con il denaro quale unica unità di misura della vita. Nato dalle classi borghesi, ha abolito la figura del borghese: quella che oggi si chiama borghesia non ha più alcuna omogeneità culturale e valoriale di classe, ed è un mero aggregato di agenti della produzione capitalistica. Questo sistema imperiale, che si esprime soltanto come potenza del denaro e della tecnica, senza rispetto per l'uomo, senza onore e senza dignità, non produce che fondamentalismi. Da un lato c'è il fondamentalismo liberista delle metropoli dell'impero, che riduce ogni attività sociale ad azienda, ogni aspetto della vita a merce, ogni bene a oggetto di consumo, ogni  comportamento ad una falsa libertà demenzialmente concepita senza limiti. Dall'altro lato ci sono tanti altri fondamentalismi (non soltanto quello islamico), basati su costumi rigidi, asfissianti, mortificatori dell'individualità, che fungono da sostegni identitari nella competizione capitalistica per gruppi privi dei mezzi necessari per sostenerla allo stato puro.
(Massimo Bontempelli)

lunedì 12 gennaio 2015

La libertà è libertà di tutti, o non è (seconda puntata)

Ovviamente la libertà di espressione deve valere anche per Dieudonné e per Anelka. E' davvero notevole che si debbano ricordare queste cose. Come scrivevo tempo fa, la libertà è libertà di tutti, o non è.
(M.B.)

domenica 11 gennaio 2015

Occidente e civiltà occidentale

I tragici fatti di Parigi hanno ridato slancio, com'era prevedibile, a coloro che cavalcano la tesi dello "scontro di civiltà". Assieme a Massimo Bontempelli avevamo tentato di offrire una visione alternativa, pubblicando nel 2009 "Civiltà occidentale" (edizioni "Il Canneto"). Mi sembra abbia senso, nel contesto attuale, riproporne le tesi essenziali. Nel seguito ripubblico una intervista apparsa in origine sulla rivista "Indipendenza" poco dopo l'uscita del libro (purtroppo non ricordo in che numero) (M.B.)
Correzione del 21-1-15: la memoria mi ha ingannato, l'intervista non è stata pubblicata su "Indipendenza" ma ha circolato in rete. (M.B.)



D Una della tesi fondamentali del vostro libro è quella che riguarda la distinzione fra “Occidente” e “civiltà occidentale”. Potreste chiarirla?
R Questa è in effetti la prima delle due tesi fondamentali del libro. Si tratta di una distinzione che è secondo noi necessaria per fare chiarezza nelle discussioni oggi frequenti, e piuttosto confuse, su questi temi. Per quanto riguarda la nozione di “Occidente”, la nostra tesi si può pensare come una critica della nozione comunemente diffusa. Quest’ultima è ben compendiata dal sottotitolo di un libro pubblicato da Laterza (ma si potrebbero fare molti altri esempi): “Mondi in guerra”, di A.Pagden. Il sottotitolo recita “2500 anni di conflitto fra Oriente e Occidente”. Perché una simile espressione abbia senso, occorre pensare che vi sia una entità, chiamata “Occidente”, che esiste appunto da 2500 anni, e che questa entità, pur avendo magari subito un’evoluzione, sia identificabile lungo tutto questo arco di tempo, e vi sia una continuità nella sua evoluzione. Bene, noi sosteniamo che questa entità non esiste nella storia, ma è una costruzione ideologica. Nello spazio geografico, politico e culturale che viene usualmente chiamato “Occidente” si sono succedute civiltà essenzialmente diverse fra loro, come la Grecia classica, l’Europa di Carlo Magno, la civiltà borghese moderna. Queste diverse civiltà hanno ovviamente alcune radici culturali in comune, ma differiscono radicalmente per quanto riguarda l’economia, l’organizzazione sociale, le istituzioni, le impostazioni culturali, le mentalità, e così via. La nozione di “Occidente” oscura queste differenze e impedisce di capire la specificità di queste diverse civiltà.
D Questo per quanto riguarda la nozione di “Occidente”. E per quanto riguarda quella di “civiltà occidentale”?
R Nell’ambito della vasta storia racchiusa nella categoria di “Occidente” c’è un nucleo più ristretto di principi che rivelano una forza civilizzatrice specifica, e in linea di principio unitaria. Si tratta dei principi teorici del razionalismo moderno, dell’Illuminismo, dello storicismo romantico, che si concretizzano a partire dalla rivoluzione francese e dalla formazione dei moderni Stati-nazione. Abbiamo chiamato “civiltà occidentale” questo nucleo di principi. Tale civiltà rappresento in sostanza il prodotto della borghesia intellettuale del Settecento e dell’Ottocento. Si tratta di una civiltà di nascita recente: le idee dell’Illuminismo vengono elaborate (certo raccogliendo una grande massa di stimoli culturali precedenti) nel corso del XVIII secolo, e iniziano a trovare realizzazione pratica, come s’è detto, con la rivoluzione francese. Di questa civiltà nel libro vengono individuati e studiati i cinque “pilastri”: la nozione di diritti dell’uomo, la nozione di libertà, la razionalità, lo Stato-nazione, il progresso.
D Si potrebbe dire che voi indicate con “civiltà occidentale” il lato positivo della modernità, e con “Occidente “ quello negativo?
R Non del tutto. “Occidente” per noi è una costruzione ideologica che non indica una realtà effettiva, la cui storia correrebbe lungo 2500 anni. Se lo si intende in questo senso, l’Occidente non è né buono né cattivo, semplicemente non esiste. Buono o cattivo, al più, è l’uso che di tale nozione viene fatto nella “battaglia delle idee”. Per quanto riguarda la civiltà occidentale, che è invece una realtà storica effettiva, essa ha indubbiamente introdotto una serie di principi che riteniamo positivi: il principio del libero sviluppo dell’individuo, la garanzia della libertà individuale contro gli abusi del potere, la razionalità dialogica come libero confronto degli argomenti di fronte all’opinione pubblica, il rispetto dei diritti dei popoli. D’altra parte questi stessi principi di civiltà presentano profonde contraddizioni interne, ben individuate nel loro sorgere dalla critica di Hegel, e poi di Marx. In sostanza, il carattere
puramente formale della libertà borghese la rende compatibile con nuove forme di non libertà. Il problema individuato da Hegel (e in forme diverse da Marx) , cioè il problema di dare alle libertà
individuali una fondazione teorica e sociale diversa da quella liberale e borghese, non è stato risolto, e le contraddizioni non risolte della civiltà occidentale hanno portato alla sua attuale crisi.

venerdì 9 gennaio 2015

Una reazione viscerale e qualche riflessione

Parto da un dato elementare, dalle mie reazioni emotive di fronte alla strage di Parigi: come tutti, ho provato orrore, dolore per le vittime, ansia per le possibili conseguenze politiche. Le stesse emozioni che provai l'11 settembre. Ma stavolta c'è una cosa in più: la paura. L'attentato di Parigi mi ha fatto provare paura, e questa è un reazione che non avevo avuto l'11 settembre. Ho cercato di capire il motivo di questa diversa reazione, e sono arrivato a concludere che, per dirlo in estrema sintesi, il motivo è che l'11 settembre hanno sparato nel mucchio, a Parigi invece hanno preso bene la mira.
Cerco di spiegarmi meglio. Premetto una cosa ovvia, cioè che le considerazioni seguenti non hanno nulla a che fare con un giudizio morale, e che non intendono in nessun modo fare graduatorie nell'orrore o nella riprovazione morale verso gli assassini. Voglio solo, ripeto, spiegare il perché di questa mia diversa reazione, e fare qualche riflessione su questo.
L'11 settembre, dicevo, hanno sparato nel mucchio. Hanno colpito una massa indifferenziata di persone, che sono state uccise semplicemente perché si trovavano lì. Se guardiamo alle conseguenze sulla vita quotidiana della persona media (e mettiamo quindi per il momento sullo sfondo l'orrore, la riprovazione, la condanna morale)  un simile evento ci appare analogo a un disastro naturale, a un terremoto o a un'inondazione. Si tratta di qualcosa di brutto, che sarebbe meglio non ci fosse, ma rispetto al quale la vita quotidiana cambia poco. Almeno, questo è stata la mia reazione istintiva: c'è un pericolo in più, oltre ai terremoti, alle alluvioni, agli incidenti stradali, alle fughe di gas, ed è rappresentato da questi pazzi che fanno attentati. Nessuno è contento di questo, ma, come non si smette di uscire di casa o di prendere il treno per paura dei terremoti o delle alluvioni, allo stesso modo si continua a vivere sapendo che ci sono gli attentati aerei. Che altro si può fare? Qualsiasi cosa si faccia, si è comunque in pericolo (piccolo o grande) e allora tanto vale continuare a vivere come prima.
Adesso invece è diverso. A Parigi, ripeto, hanno preso bene la mira. Non hanno colpito persone di passaggio, con lo scopo generico di spargere terrore. Hanno colpito un preciso gruppo di persone, per dei precisi motivi: perché quelle persone hanno fatto uso della libertà di espressione, bene o male ancora garantita nei nostri paesi, in un modo inaccettabile per gli attentatori. Non si è quindi trattato di una generica dichiarazione di “guerra all'Occidente”, ma di una precisa dichiarazione di guerra a chiunque si esprima in forme o contenuti non conformi all'ideologia degli attentatori.
Cerco di spiegarmi meglio: gli attentatori dell'11 settembre, o quelli della metropolitana di Madrid, non intendevano certo impedire alla gente di prendere l'aereo o la metropolitana (o di entrare in un grattacielo): il loro messaggio non era “vi uccidiamo perché avete preso l'aereo”. Invece gli attentati di Parigi hanno ucciso proprio per impedire a un giornale, e quindi ovviamente a tutti i giornali, di esprimere determinati contenuti. Il loro messaggio è “vi uccidiamo perché avete fatto questo, e uccideremo chiunque farà cose simili”. Così, mentre l'11 settembre non vuole imporre esplicitamente niente di preciso, gli attentati di Parigi lo vogliono fare: ci dicono “non devi dire o pubblicare questo”. Ma allora cambiano la mia vita. Mentre dopo l'11 settembre potevo dire “qualsiasi cosa io faccia, il pericolo è lo stesso, tanto vale continuare a vivere come prima”, adesso so che se dico certe cose o diffondo certe immagini sono in pericolo, se non lo faccio sono tranquillo. È allora ovvio che tutto questo mette in questione la libertà di espressione. Il messaggio che ci arriva da questi attentati è un attacco diretto e preciso al cuore di alcune delle conquiste fondamentali della nostra storia.
Mi sembra allora che si possa affermare che chi ha ispirato questi attentati,  che lo abbia chiaro in mente oppure no, mira ad un obiettivo di ampio respiro: modificare l'assetto delle libertà civili in Occidente.
Se tutto questo è sensato, si tratta di un fatto nuovo e molto grave, che rende, io credo, ancora più difficile la nostra lotta per una fuoriuscita civile e umana dall'attuale organizzazione sociale ed economica. Mi sembra cioè, per essere chiari, che i tragici fatti di Parigi abbiano l'effetto di restringere drammaticamente lo spazio politico e intellettuale per una posizione che si voglia alternativa agli “opposti integralismi” occidentalisti e islamisti.
Di questo mi sembra non si rendano conto molte persone che stimo, che tendono a reagire secondo schemi consolidati negli ambienti “alternativi”: per esempio sollevando al solito il sospetto della “false flag”, o ricordando che l'Occidente è responsabile di crimini peggiori, o che in altri paesi simili stragi sono all'ordine del giorno senza suscitare l'attenzione dei media. Tutte cose che possono naturalmente dirsi senza scandalo, ma che secondo me non colgono davvero il problema, serissimo, che i tragici fatti di Parigi pongono a chi voglia contrastare lo stato presente delle cose.
A mio modesto avviso, solo assumendo con estrema chiarezza e rigore la necessità di una difesa indefettibile dei principi fondamentali della nostra convivenza civile, stabiliti dalla nostra Carta Costituzionale, si può sperare di uscire dalla morsa in cui rischiamo di dibatterci.
(M.B.)


PS Devo a Claudio Martini, che ringrazio, alcune preziose osservazioni su una prima versione di questo articolo

giovedì 8 gennaio 2015

Bernard Maris

Fra le vittime di Parigi c'è anche Bernard Maris, un economista capace di pensiero autonomo e critico. In italiano sono state tradotte alcune cose sue, fra le quali la "Lettera aperta ai guru dell'economia che ci prendono per imbecilli" (Ponte alle Grazie), che mi era capitato di leggere tempo fa. Segnalo una nota di Jacques Sapir in memoria.
(M.B.)


Addendum h.21,20: Maris era stato fra i fondatori di Attac, cosa che non sapevo. Qui leggete il comunicato di Attac-France.

lunedì 5 gennaio 2015

Ancora sulla Grecia

Segnalo un articolo di Lucrezia Reichlin sul Corriere di oggi, dove fra l'altro si dice che "probabilmente" sono già in corso trattative con Tsipras. Intanto Berlino smentisce ogni avallo all'uscita della Grecia dall'euro.
(M.B.)

domenica 4 gennaio 2015

Pressioni sulla Grecia

Le oligarchie euriste vogliono evitare il rischio che gli elettori greci votino nel modo sbagliato, e si fanno sentire. E' facile prevedere che queste pressioni aumenteranno. Sulla situazione greca segnalo le osservazioni di Carlo Clericetti e l'analisi di Leonardo Mazzei.
(M.B.)

venerdì 2 gennaio 2015

Un'ipotesi

Mettendo assieme alcune notizie riportate dai giornali, è possibile formulare un'ipotesi su sviluppi futuri. In primo luogo, varie voci ci avvertono che probabilmente nella finanza si è riformata una bolla paragonabile a quella che ha preceduto la crisi del 2007/8 (si veda per esempio qui). In secondo luogo, alcune analisi indicano nella corsa allo "shale oil" e allo "shale gas" una bolla simile a quella delle "dot-com" di inizio millennio (qui, per esempio). In terzo luogo, sembra che gli attuali bassi prezzi del petrolio rendano economicamente non sostenibile l'estrazione dello "shale oil" (qui e qui; le opinioni a riguardo non sono comunque concordanti). Se tutti questi punti fossero corretti, e li sommiamo, il risultato che si ottiene è che l'attuale congiuntura dei bassi prezzi del petrolio potrebbe far scoppiare la bolla dello "shale gas", e questo potrebbe portare ad una nuova crisi finanziaria paragonabile a quella del 2007/8. Staremo a vedere.
(M.B.)


P.S. Se qualcuno dei lettori vuol contribuire con altre fonti, è il benvenuto.